Domenica e lunedì in Italia si vota per cinque referendum abrogativi: di questi, quattro sono incentrati sul lavoro ed uno sulla cittadinanza. La consultazione referendaria si svolge in concomitanza con le elezioni amministrative in diverse Regioni e Comuni: primo turno delle elezioni amministrative in Sardegna e turno di ballottaggio delle elezioni amministrative nelle regioni a statuto ordinario ed in Sicilia.
Ogni elettore riceverà 5 schede, una per ogni quesito. Su ciascuna scheda si potrà barrare la dicitura “Sì”, se favorevoli alla proposta di abrogazione, o “No”, se contrari. Oltre ai cittadini italiani maggiorenni iscritti nelle liste elettorali del proprio Comune di residenza, potranno partecipare al referendum anche gli elettori fuori sede domiciliati da almeno tre mesi in un Comune diverso da quello di residenza. Secondo i dati forniti dal Viminale, questi ultimi saranno 67.305. Voteranno, come sempre, per corrispondenza gli italiani residenti all’estero iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).
Il primo quesito (scheda verde)
“Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione”.
Sino ad oggi chi lavora in aziende con più di 15 dipendenti ed è stato assunto dopo il 7 marzo 2015, se licenziato senza giusta causa, non ha diritto a tornare al lavoro. Con questo referendum si mira a ripristinare il reintegro per chi viene licenziato ingiustamente. Per chi è entrato in azienda prima di quella data, è e resta valido l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua versione originale, che dà la possibilità al lavoratore di tornare al proprio posto se il Giudice dichiara infondato ed ingiusto il licenziamento.
Il secondo quesito (scheda arancione)
“Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale”.
Nelle aziende con meno di 16 dipendenti, chi viene licenziato ingiustamente oggi può ricevere un indennizzo per non più di sei mesi di stipendio. Il secondo quesito chiede che venga eliminato questo limite, per cui se vincesse il Sì, chi fa parte di un’azienda con meno di 16 dipendenti e perde il lavoro, potrebbe anche ottenere un risarcimento maggiore di quello attualmente riconosciuto dalla legge.
Il terzo quesito (scheda grigia)
“Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”.
Fino ad oggi le aziende possono assumere a tempo determinato per 12 mesi senza l’obbligo di motivare la durata del rapporto di lavoro. Se vincesse il Sì tornerebbe l’obbligo per le aziende di indicare perché si sceglie quel tipo di contratto a tempo determinato.
Il quarto quesito (scheda rosa)
“Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione”.
Questo quesito riguarda il tema della sicurezza sul lavoro. Si chiede l’abrogazione della norma che non permette al lavoratore in subappalto che subisce un incidente di chiedere il risarcimento anche all’impresa che ha commissionato l’opera. In caso di vittoria del Sì l’azienda che commissiona il lavoro diventerebbe anch’essa responsabile. Chi vota NO sostiene che la disciplina attualmente in vigore sia corretta e che, quindi, se un’azienda non realizza un’opera in prima persona affidandosi ad uno specialista quest’ultimo debba accollarsi interamente i rischi, compresi quelli sulla sicurezza.
Il quinto quesito (scheda gialla)
“Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”.
L’ultimo quesito propone di dimezzare il tempo di residenza legale nel nostro Paese, da 10 a 5 anni, per il conferimento della cittadinanza italiana agli stranieri extracomunitari maggiorenni. Nello specifico, dunque, si richiede di modificare l’articolo 9 della legge 91/1992 che innalzò il termine di soggiorno ininterrotto in Italia per la presentazione della domanda di cittadinanza da parte dei maggiorenni. L’ultimo quesito non interviene in merito ai requisiti per il conferimento della cittadinanza, che restano immutati e riguardano: la conoscenza della lingua italiana, il possesso di un un reddito stabile, l’assenza di precedenti penali, l’essere in regola con il pagamento delle tasse e non rappresentare una minaccia per la sicurezza della Repubblica.
L’incognita affluenza
Negli ultimi giorni i sostenitori delle ragioni del sì e del no hanno intensificato i dibattiti chiarendo i motivi per i quali sarebbe necessario recarsi alle urne esprimendo la propria preferenza. Ma la vera sfida, che al contempo appare anche la grande incognita di questo appuntamento con le urne, resta l’affluenza. Affinché queste consultazioni possano risultare valide sarà necessario il raggiungimento del quorum: a recarsi alle urne dovrà essere il 50% +1 degli aventi diritto al voto.
I referendum nella storia italiana
Nella storia italiana fino ad oggi sono stati oltre 70 i referendum (abrogativi, istituzionali, di indirizzo e costituzionali) sui quali gli aventi diritto al voto hanno espresso il proprio consenso: dalla prima consultazione del 2 giugno 1946 quando l’89.1% degli italiani – percentuale di affluenza più alta mai più raggiunta – decise la nascita della Repubblica fino all’ultima tornata referendaria del 2022 quando furono proposti cinque quesiti sulla giustizia, ma l’affluenza allora si arrestò al 20%.
Oltre cinquanta anni or sono, nel maggio del 1974 gli italiani dovettero decidere se cancellare la legge Fortuna-Baslini, che dal 1970 permetteva il divorzio. In quella storica occasione il quorum fu ampiamente superato e si registrò un’affluenza dell’87.7%, con il No che vinse al 59.3%, confermando quindi la legge. Nella primavera del 1981 fu il turno del referendum sull’aborto. Gli italiani furono chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione della legge 194 del 1978, che ancora adesso regolamenta oggi l’interruzione volontaria di gravidanza. Anche in quella occasione l’affluenza fu alta arrivando a sfiorare l’80% e vinse il No.
Un anno e mezzo dopo il disastro di Chernobyl, a novembre del 1987, Radicali e Verdi promossero quesiti per rendere impraticabile la prosecuzione del programma nucleare italiano. L’affluenza fu del 65.1% e vinse il Sì. Dopo la vittoria sul nucleare i Verdi, nel 1990, lanciarono tre referendum su questioni ambientali, sulla caccia e l’utilizzo dei fitofarmaci in agricoltura, ma in quell’occasione non fu raggiunto il quorum poiché l’affluenza si fermò al 43%.
Il 9 giugno del 1991 gli italiani decisero sulla riforma del sistema elettorale. Di quell’appuntamento con le urne si ricorda l’esortazione dell’allora segretario socialista, Bettino Craxi, che suggerì agli italiani di andare al mare anziché votare al referendum sulle preferenze. L’affluenza si attestò al 62,5% e fu stabilita la riduzione delle preferenze esprimibili nelle elezioni per la Camera dei deputati, che passarono da tre a una.Tutti gli otto quesiti che richiamarono alle urne gli italiani il 18 e 19 aprile del 1993 furono approvati.
L’affluenza allora fu del 77% ed in quella occasione – tra le altre cose – venne deciso lo stop al finanziamento pubblico dei partiti, e venne modificata la legge Iervolino-Vassalli nelle parti in cui prevedeva il carcere anche per il solo uso personale di droghe.
Dal 1997 – ad eccezione delle consultazioni del 2011 nelle quali i quattro quesiti su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento superarono il quorum, con un’affluenza del 54,8% – non è stato più raggiunto il quorum in occasione delle consultazioni referendarie.
Le polemiche
Preoccupano i partiti di destra schierati convintamente a favore dell’astensione e la recente dichiarazione della premier Giorgia Meloni: “Vado a votare, non ritiro la scheda. È una delle opzioni”. Una circolare del ministero dell’Interno è chiara a tal proposito: “Per quanto attiene la rilevazione del numero degli elettori, appare utile rammentare che coloro che rifiutano la scheda non dovranno essere conteggiati tra i votanti della sezione elettorale”.
L’elettore che rifiuta di ritirare tutte le schede, come ha annunciato che farà la presidente del Consiglio, non viene considerato come votante e non deve quindi essere conteggiato tra i votanti della sezione. Non concorre, quindi, al raggiungimento del quorum.
Dopo queste parole immediata è scattata la replica della segretaria Pd, Elly Schlein: “Meloni prende in giro gli italiani dicendo ‘vado a votare ma non voto’. Anziché dire se è favorevole o contraria ai 5 quesiti su lavoro e cittadinanza, conferma che vuole affossare i referendum e che teme il raggiungimento del quorum perché non ritirare le schede equivale a non votare”. “Meloni – prosegue la leader dem – invece di invitare all’astensione, avesse il coraggio di andare a votare no. Noi invece voteremo convintamente 5 sì, e saremo tanti!”.
Modalità di voto
Le urne saranno aperte dalle ore 7:00 alle ore 23:00 di domenica 8 giugno e dalle ore 7:00 alle 15:00 di lunedì 9 giugno. Ci si dovrà presentare al seggio assegnato con un documento d’identità in corso di validità e la tessera elettorale. Gli italiani residenti all’estero potranno votare per corrispondenza mentre gli elettori con gravi infermità ed impossibilitati ad allontanarsi dalla propria abitazione avranno l’opportunità di votare a domicilio. Basterà aver inviato al comune di residenza la domanda alla quale dovrà essere stato allegato un certificato medico della Asl ed una copia della tessera elettorale. Gli elettori fisicamente impediti, invece, per esercitare il diritto di voto potranno accedere alla cabina con l’assistenza di un accompagnatore di fiducia (purché iscritto nelle liste elettorali).