Questa zona rossa non ha più senso

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Non sono consentiti spostamenti tra regioni, non sono consentiti gli spostamenti nei comuni. È possibile muoversi solo per necessità, urgenza o lavoro. Non è permesso ritrovarsi a casa di amici e parenti, né fare feste. Sono aperti solo pochi negozi, quelli che garantiscono beni e servizi di prima necessità. Queste sono le regole in zona rossa. Ma siamo proprio convinti che tali restrizioni siano ancora utili a frenare la diffusione del Covid-19?

I dati sul contagio non sono confortanti. Se non migliorano non possiamo allentare le misure restrittive, ci ripetono da marzo del 2020 il governo nazionale e quelli regionali e locali. E lo ha ribadito il premier Mario Draghi nell’ultima conferenza stampa. La circolazione delle varianti ha posto ulteriori freni. Ma i dati non si possono leggere senza contestualizzarli, senza considerare il fattore umano. Ci sono dei virus che si stanno diffondendo insieme al Sars-Cov2: sono quelli della povertà, dei disagi psicologici, dell’insofferenza. E nell’adottare decisioni non si può non tenerne conto.

Non si può non tener conto che la zona rossa non è più rossa. Lo dice la realtà. Ci vorrebbero troppe forze dell’ordine per accertare le trasgressioni commesse ogni giorno. Da chiunque: dall’anziano al ragazzino, dal professionista al lavoratore in nero, dal ricco al povero, da Nord a Sud. Sui social restano spesso le tracce delle continue violazioni, che ormai si commettono anche apertamente. Le persone sono stanche, e noi giornalisti che ogni giorno siamo a contatto con la gente possiamo coglierne l’esasperazione e lanciare l’allarme.

Le proteste continuano da un anno in tutta Italia. Non c’è una categoria che non sia scesa in piazza. I sostegni economici per imprese e professionisti ci sono, ma non sono sufficienti e spesso arrivano in ritardo. Ci sono partite Iva che non hanno i requisiti per richiederli e non potranno mai beneficiarne, lavoratori che se prima erano precari ora non hanno nemmeno quella precarietà che gli permetteva un minimo di sopravvivenza. Ci sono negozi, discoteche che non riapriranno mai più, palestre che faranno lo stesso. Quanti cartelli “vendesi” sono affissi sulle saracinesche abbassate? Chissà se si risolleveranno cinema e teatri. E gli alberghi, i ristoranti? Gli imprenditori a cui da un anno si stanno chiedendo sacrifici non vedono una luce in fondo al tunnel. Ai bambini questa pandemia ha tolto la socialità e la scuola, e non si sa quali saranno le conseguenze di queste privazioni.

La zona rossa dovrebbe servire a contenere il contagio con le sue regole più rigide. Ma basta affacciarsi ad una finestra per capire che ormai sono in tanti a non rispettarla più. Si fanno feste in casa, si esce senza che ce ne sia la necessità, c’è chi riesce anche a spostarsi tra regioni. E chi ha sempre rispettato le regole inizia a trovare modi per aggirarle: “Se non lo fanno gli altri, non vedo perché devo continuare a sacrificarmi. Io non ce la faccio più a stare chiuso in casa”, spesso è la giustificazione. Siamo venuti a conoscenza di tantissime situazioni di questo tipo. Noi non possiamo e non vogliamo sostituirci ai controllori (che ci sono, ma non bastano), non vogliamo puntare il dito contro chi trasgredisce, vogliamo solo sollevare una questione: forse è arrivato il momento di cambiare strategia, perché il rosso non funziona più e qui fuori la disperazione si fa sentire sempre di più.

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