Il caso di Martina Carbonaro, la 14enne di Afragola (provincia di Napoli) uccisa con una pietra all’interno di una struttura abbandonata dall’ex fidanzato Alessio Tucci, incapace di accettare la fine della loro storia, ha sconvolto l’opinione pubblica italiana suscitando un enorme dibattito. In tanti non si spiegano come un ragazzo di neanche 19 anni abbia usato tanta crudeltà. A questi e ad altri quesiti, a partire dalla domanda se sia giusto o meno parlare di femminicidio, ha risposto a Tell Maria Emanuela Cimmino, psicologa e psicoterapeuta cognitiva del Centro Flegreo di Psicoterapia cognitiva di Napoli.

Dottoressa Cimmino, è giusto parlare di femminicidio per il caso di Martina Carbonaro?

“È giusto parlare di femminicidio. Innanzitutto, perché il termine indica l’uccisione di una donna in quanto donna all’interno di dinamiche relazionali caratterizzate da gelosia patologica, da percezione dell’altra come oggetto posseduto e dall’incapacità di gestire il rifiuto. Anche se Martina aveva soltanto 14 anni, questo non riduce la gravità del gesto né tantomeno lo colloca al di fuori di tale dinamica. Anche in adolescenza si possono verificare modelli relazionali disfunzionali come il passaggio dal disturbo della condotta al disturbo antisociale della personalità’’.

Alessio Tucci ha anche finto di partecipare alla ricerca di Martina dopo averla ammazzata. Come va giudicato questo comportamento?

“Questo comportamento va assolutamente letto alla luce di concetti psichiatrici come scissione affettiva, assenza di empatia ma soprattutto come disturbo antisociale della personalità. In questi soggetti giovani accade una dissociazione tra l’atto commesso e la percezione di sé come persona normale. Partecipare alle ricerche serviva a coprire le tracce ma anche a sostenere una narrazione interna alternativa, cioè sostenere di essere ancora un bravo ragazzo. Non è solo una malattia mentale ma il prodotto di una immaturità affettiva, di un’educazione carente e soprattutto mancanza di strumenti per regolare emozioni intense scatenate al seguito di un rifiuto e di un abbandono’’.

Si può quindi parlare di una carenza di educazione, anche sessuale, o bisogna andare a cercare in altre sfere quanto accaduto?

“Secondo me è fondamentale parlare di educazione sentimentale e sessuale. Quando parliamo di educazione sessuale, non si intende l’aspetto biologico. Si parla piuttosto dell’aspetto legato alla gestione delle emozioni, alla reciprocità, all’empatia. Massimo Recalcati una volta disse: ‘Senza educazione al desiderio, l’amore può diventare violenza’. Questo può accadere quando all’interno di una relazione ho bisogno di approvazione, di dipendenza assoluta. In questo caso si crea un terreno fertile per la potenzialità di una tragedia laddove può esserci un rifiuto. È una questione culturale, serve una rivoluzione educativa che deve iniziare nella scuola, nella famiglia, in tv. Parlare di cattiva educazione servirebbe soltanto a trovare un capro espiatorio come i genitori, ad esempio. Dovremmo riconoscere che esiste un vuoto e che questo vuoto viene ricoperto e riempito da modelli tossici, soprattutto fatti da una pornografia della relazione che, a questo punto, andrebbe corretta”.

Molti hanno avuto da ridire sulla reazione della madre di Martina, per qualcuno apparsa troppo fredda e lucida. Il papà invece, sembra aver esternato di più il dolore per la morte della figlia.

“Va innanzitutto specificato che il dolore non ha una sola forma di espressione, ogni lutto è personale e unico. Quando un trauma è così impattante, possiamo parlare di shock dissociativo che non è freddezza ma una reazione difensiva che la mente attiva perché il dolore sarebbe troppo immenso per essere processato tutto insieme. È una strategia protettiva che attiva la mente. In genere, se tu chiedi alla persona come si senta, è molto facile avere come risposta quella di avere la sensazione di essere in una bolla in cui si sente in trappola. Vedi tutto, fai tutto, ma non senti nulla. Il dolore vero arriva dopo e in quel caso si può manifestare in forme diverse e molto durature’’.

 

La mamma e il papà di Martina Carbonaro sul luogo dell’omicidio

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here