Dopo la conferenza stampa di venerdì sera del premier Conte, avevano iniziato a organizzarsi. Prima dell’entrata in vigore della nuove misure previste dal decreto legge con le limitazioni per il periodo natalizio, erano convinti di poter vivere qualche giorno da zona gialla (da oggi a mercoledì) in Campania e avevano chiamato i fornitori, fatto spese, avviato preparazioni, chiamato i dipendenti. Invece nel primo pomeriggio di ieri è arrivata la notizia che ha fatto precipitare tutte le aspettative dei ristoratori: De Luca firma l’ordinanza regionale che conferma fino al 23 le restrizioni previste per la zona arancione, per cui bar e ristoranti da oggi resteranno chiusi e potranno lavorare solo per asporto e con il delivery.

A Napoli i ristoratori, esausti, sono scesi di nuovo in strada. Hanno bloccato il lungomare per protestare contro il provvedimento regionale.

Chi con attività decennali, chi con attività più recenti, chi ha potuto lavorare con l’asporto, chi no, chi gestisce piccole realtà, chi decine di dipendenti con migliaia di euro di affitto mensile da pagare e locali chiusi per mesi dalle restrizioni. C’era pure qualche ditta dell’indotto. Tutti esasperati, messi in ginocchio dalla pandemia e dai provvedimenti restrittivi imposti per contrastarla.

“Dignità” era la parola ricorrente tra i manifestanti, quella che ritengono sia stata lesa con un’ordinanza che li penalizza rispetto al resto di Italia e d’Europa, adottata con una tempistica che, dicono, non ha tenuto conto di come funzionano le attività nel settore del food creando ulteriori danni a chi già è pressato dalla crisi generata dalla pandemia.

“Avevamo comprato latticini, pesce, carne, e tu (De Luca, ndr) oggi ti permetti di fare un’ordinanza alle 4 del pomeriggio e ci dichiari di nuovo zona arancione? E noi buttiamo i soldi così? In questo periodo?”, afferma Antonio. Lui ha un ristorante, ha fatto la spesa dopo 15 giorni di chiusura, ha chiamato i suoi operai pensando di poter riaprire oggi, invece l’ordinanza di De Luca ha bloccato tutto.

Per Ciro Vitiello, titolare di una nota trattoria situata nei Quartieri Spagnoli, la situazione è la stessa. “Abbiamo speso soldi, che non avevamo, anche per far comprare un panettone ai nostri dipendenti, e alle 14 ci hanno detto che non siamo gialli ma arancioni”. Ciro porta con sé una bandiera con i colori rosso, arancione e giallo e ironizza: “I politici sono talmente potenti che hanno cambiato pure i colori della bandiera italiana”.

Mauro La Marca vende legna da ardere ai ristoranti. “Se io e i miei operai riusciamo a prendere mezzo stipendio è perché due anni fa non ho fatto una selezione e sono rimasto pure con il piccolo che fa l’asporto, altrimenti con i miei dipendenti oggi stavamo a vendere la droga per strada, perché adesso i grandi sono tutti fermi”. Mauro dice di avere 4 dipendenti a casa, costretti a lavorare a turno. I ristoratori lamentano ancora ritardi della cassa integrazione.

Vittorio ha 19 anni, è uno studente che sognava di conciliare l’informatica con la ristorazione. La sua famiglia gestisce da tempo un noto ristorante di via Foria. Ma oggi dice: “Se in Italia i ristoratori sono trattati così allora meglio che prendo un’altra strada. Io del mio futuro sapete cosa posso dire? Non lo so”.

La manifestazione di ieri, nata spontaneamente, con un tam-tam tramite app e social, è andata avanti per ore. Una delegazione dei dimostranti si è recata in prefettura per chiedere quantomeno di far slittare di un paio di giorni l’ordinanza regionale. Ma, dopo un incontro con il vicario del prefetto, la risposta è arrivata intorno alle 20,30 di ieri sera e non è stata quella sperata: proposta rigettata. “Non vogliono fare carte”, ha urlato ai presenti uno dei ristoratori che poco prima era stato ricevuto in prefettura. I manifestanti hanno quindi deciso di darsi appuntamento questa mattina, per protestare con nuovi blocchi stradali.

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