La situazione sul fronte ucraino resta incandescente. Le foto dei cadaveri in strada a Bucha, sobborgo di Kiev abbandonato qualche giorno fa dalle truppe di Mosca, hanno sconvolto il mondo. È dalla fine della Seconda Guerra Mondiale che in Europa non si vedevano immagini così cruente. Il mondo occidentale, sotto choc, parla di inasprire le sanzioni e di tagliare definitivamente qualsiasi rapporto commerciale con la Russia, comprese le forniture di gas.

Gli animi ribollono e lo spettro di una guerra lunga e sanguinosa spaventa sempre più le fazioni in campo, che stanno giocando una partita anche mediatica. E così, mentre in Europa si parla di una Federazione Russa in ginocchio e prossima al collasso, vittima di un presidente malato e fuori di sé, a Mosca cresce sempre più un sentimento d’odio e repulsione verso il governo ucraino e i media occidentali rei, secondo molti, di diffondere menzogne e fake news.

“In realtà i russi non hanno subito cambiamenti nel loro stile di vita – spiega Vittorio Torrembini, presidente di Gim Unimpresa, il corrispettivo Russo della nostra Confindustria – L’unico risultato delle sanzioni è stato creare problemi alle imprese estere che lavorano sul territorio russo, comprese quelle italiane. Per non parlare dell’odio verso gli italiani residenti in Russia che, alimentato dai media, è aumentato a dismisura. Parliamo di centinaia di migliaia di persone che rischiano di perdere il proprio posto lavoro e che non hanno nulla a che fare con l’operazione militare in corso, terribile, ma di cui preferisco non parlare”.

L’ostilità di ritorno galoppa anche sui social media, dove i gruppi di italiani in Russia stentano a credere di essere diventati il bersaglio della “propaganda al contrario”.Ed è proprio un ristoratore italiano, Pierangelo Carbonara, barese residente a Mosca da tredici anni, ad invitarci a fare un giro nella capitale per verificare di persona se le sanzioni hanno influito sullo stile di vita dei moscoviti. Il suo ristorante, inserito dal Gambero Rosso nella lista dei migliori ristoranti russi, non sembra avere problemi a procurarsi prodotti italiani: “In seguito alle sanzioni del 2014 abbiamo dovuto trovare un modo per andare avanti e così, vista la grande richiesta del mercato locale di prodotti Made in Italy, sono iniziati a sorgere caseifici, salumifici, pastifici. I macchinari sono italiani, il personale è italiano ed i prodotti hanno la stessa identica qualità di quelli di casa nostra, con l’unica differenza che vengono realizzati qui”.

Pierangelo è fiero di essere italiano e ci mostra con orgoglio le sue burrate: “Io sono pugliese e queste le produciamo a pochi chilometri da Mosca. Sono buone tanto quanto quelle che fanno a Bari. E se voglio formaggi a pasta dura, come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano, non ci sono sanzioni che tengano. Si trova tutto. Anche se devo comprare prodotti di contrabbando”.

I fatti smentiscono la narrazione occidentale che parla di sanzioni necessarie. “I mercati e la politica sono mondi differenti – spiega Torrembini – Quando c’è un mercato ricco come quello russo è facile che, al venir meno un attore si presenti subito un sostituto. I ricchi mercati cinese e indiano si stanno muovendo per sostituire il dollaro come moneta di riferimento utilizzando le proprie valute per pagare i propri fornitori internazionali; lo stesso Putin sta seguendo il piano dei suoi alleati imponendo l’acquisto del gas russo in rubli e le conseguenze per la nostra economia potrebbero essere disastrose. Si prospetta un riassestamento dell’architettura geopolitica mondiale.”

L’inconsistenza delle sanzioni è facile da constatare. Da un lato le grandi città come Mosca o San Pietroburgo restano indifferenti ai cambiamenti ed ai rincari, mentre nelle Oblast e nelle periferie, abitate da gente comune che vive di prodotti locali, tali cambiamenti non vengono neanche percepiti. Certo fa impressione vedere chiuse le boutique dei grandi marchi come Versace, Gucci o Chanel nei ricchi centri commerciali metropolitani ma l’impressione è che a pagare le scelte di queste decisioni politiche, alla fine, non saranno i russi.

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