Il 22 giugno 2023 il Senato canadese ha approvato l’Online News Act obbligando i colossi della Silicon Valley a pagare gli editori per la pubblicazione di notizie sulle proprie piattaforme. La legislazione nasce dopo le numerose proteste da parte dei media canadesi, che hanno chiesto di regolamentare in modo più stringente l’operato delle aziende tecnologiche per impedire loro di estromettere alcuni editori dal mercato della pubblicità online. Quello che hanno ottenuto, infatti, è un provvedimento che mira a sostenere il settore dell’informazione imponendo alle piattaforme di stipulare degli accordi di commercio equo per le pubblicazioni condivise, pena il rischio di dover ricorrere ad arbitrati vincolanti.

“Il vero giornalismo, fatto di veri giornalisti, continua a essere richiesto dai canadesi ed è vitale per la nostra democrazia, ma costa vero denaro”, ha esordito in una prima dichiarazione Paul Deegan, presidente e Ceo di News Media Canada. Il disegno di legge promette di migliorare l’equità nel mercato canadese delle notizie digitali, dirottando i ricavi pubblicitari verso le testate giornalistiche, che dal 2008 al 2021 hanno visto 450 realtà chiudere. Il professore di giornalismo della Columbia University, Bill Grueskin, studiata la simile legge australiana, ha stimato un guadagno per l’industria di notizie intorno ai 329 milioni di dollari canadesi all’anno (circa 290 milioni di euro) grazie alla nuova legge.

Ad aver già spianato la strada a questa rivoluzione digitale era stata l’Australia, due anni fa, anche se in maniera differente, con il News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code. Dopo un primo attrito con Meta, trenta editori australiani erano riusciti a strappare degli accordi vantaggiosi con Google e Facebook. Il codice, oggi in vigore, prevede una figura di contabilità finanziaria (detta “Treasurer”) che può eventualmente assoggettare delle piattaforme a delle obbligazioni economiche in caso di non ottemperanza dei patti concordati. Nel decidere se designare o meno, il Treasurer deve sia considerare l’equilibrio contrattuale tra le parti sia verificare se la piattaforma digitale ha portato un contribuito significativo alla sostenibilità dei media australiani.

Intanto, in Canada, il provvedimento entrerà in vigore solo fra sei mesi, ma la risposta da Meta, attraverso la sua responsabile delle comunicazioni nel Paese, è stata immediata: “Abbiamo ripetutamente condiviso che, al fine di rispettare il disegno di legge approvato in Parlamento, i contenuti delle testate giornalistiche, inclusi quelli sia da fonte scritta che da broadcast audio/video, non saranno più disponibili per le persone che accedono alle nostre piattaforme in Canada”. In sintesi, pur di rispettare la legge, Meta è pronta a interrompere la pubblicazione di notizie sui suoi canali.

Non si conoscono le tempistiche di questa mossa, ma, teoricamente, dovrebbe precedere l’entrata in vigore dell’Online News Act. Nel frattempo, anche Google ha definito il disegno di legge “impraticabile”, anche se ha dichiarato di voler collaborare con il governo per intraprendere un “percorso” comune. Il governo di Ottawa ha respinto le “minacce” e ha lasciato intendere che non esclude la rimozione dei collegamenti alle notizie anche sul motore di ricerca più popolare al mondo. Anche se le circostanze sono differenti, si spera un compromesso come quello australiano.

Peraltro, all’inizio del mese di giugno, anche i legislatori della California hanno avanzato una proposta simile che richiederebbe alle piattaforme digitali (quelle con almeno 50 milioni di utenti statunitensi attivi mensilmente, un miliardo di utenti attivi in tutto il mondo o con un fatturato di oltre 550 miliardi di dollari) di pagare i notiziari per i contenuti che ospitano.

Sarà battaglia, anche se lo è già in fin dei conti. Da un lato il primo ministro canadese, Justin Trudeau, aveva criticato Meta accusandola di essere “irresponsabile e fuori dal mondo”, dall’altro la compagnia tecnologica, negli ultimi mesi, ha già avviato dei test su una piccola parte di utenti canadesi limitandone l’accesso ai siti di news.
La sensazione è che questo tassello possa essere tra i primi per ridimensionare i giganti tecnologici ripartendone equamente i ricavi in un campo che è ancora poco codificato. Chissà se l’aria di cambiamento comincerà a respirarsi anche in Europa, e nel nostro Paese.

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