Nonostante la direttiva europea del 2006, detta Bolkestein, chieda di rilasciare agli stabilimenti balneari concessioni di durata limitata in modo da tutelare la libera concorrenza di mercato, in Italia, oggi, le spiagge sono nelle mani di poche famiglie che se le tramandano ormai da una generazione all’altra. Il nostro Paese è stato condannato più volte per il mancato rispetto della direttiva, finché nel 2018 l’ennesima proroga delle licenze, avvenuta sotto il governo Conte, ha fatto aprire una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, sostenuta anche dal Consiglio di Stato che ha ribadito la superiorità delle norme comunitarie su quelle nazionali, specificando l’obbligo di sottoporre le concessioni demaniali a nuove gare dal 2024.

Un caso, quello di Ginosa, in provincia di Taranto, è arrivato persino alla Corte di giustizia dell’Unione Europea che ha trovato inaccettabile la proroga delle concessioni di venti stabilimenti balneari del comune sino al 2020. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, facendo ricorso, ha ottenuto subito la condanna europea che in una dichiarazione ufficiale è stata secca e convinta: “Le concessioni per l’occupazione delle spiagge italiane ai balneari non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente tra diversi candidati.”

Il problema è che non si riescono a reperire le informazioni relative ai rapporti concessori, perché manca una mappatura delle aree demaniali su tutto il territorio. Solo le amministrazioni pubbliche o un privato interessato può, però, consultare il Sistema informativo del demanio marittimo (SIDM), collegato al sito del ministero delle Infrastrutture. Legambiente, ad esempio, riesce in questo modo a elaborare ogni anno un Rapporto spiagge denunciando un’evidenza assoluta. I dati parlano: il SIDM dice che le concessioni balneari erano 12.166 nel 2021 e 10.812 nel 2018.

Manca la volontà di riaprire un mercato fermo, talvolta preda di favoritismi e clientele, venendo meno ad un patto di caratura europea. Anche la speranza che almeno questa particolarità solo italiana frutti alle casse dello Stato e della cittadinanza è vana. Come riportano L’Espresso e Reuters, i canoni da pagare per i lidi sono bassissimi, pari solo a 55 milioni l’anno per un settore che ha un fatturato annuo di circa 15 miliardi. E non solo: di questi 55 milioni i gestori hanno versato 43,4 milioni, con un tasso di morosità del 20,3 %.

Le spiagge oggi

Il mare è un lusso per gli italiani, o almeno lo sta diventando. Eppure, siamo il quinto paese per chilometri di costa. Oltre il 50% di tutte le coste sabbiose nazionali, infatti, è in concessione e, in alcune regioni, come Liguria, Emilia-Romagna e Campania, si arriva al 70%. Ci sono aree come i 50 km di litorale romagnolo tra Cattolica e Cervia dove sono stati aperti 906 stabilimenti balneari e solo il 9% di spiagge è libero. Una privatizzazione de facto del demanio pubblico che impedisce l’accesso e la fruizione della battigia, anche ai fini di balneazione, o lo limita a spiagge libere anguste, sporche e senza servizi. È irrisorio il 20% con cui l’Emilia-Romagna voleva “conservare” sul suo litorale una percentuale di spiagge libere, dal momento che il totale include l’intera costa regionale, tra cui le aree protette della fascia a nord, tra Ravenna e Comacchio. È invece significativo il caso della Puglia dove grazie alla legge Minervini il 60% della costa utile di ogni Comune deve essere di libera fruizione.

Va preso in considerazione, poi, anche l’erosione costiera che sta rimpicciolendo davanti ai nostri occhi le coste sabbiose, riguardandone il 46% del totale, dato triplicato dal 1970, e, ancora, non va dimenticato il 7,2% della costa sabbiosa interdetto alla balneazione per via dell’inquinamento perché spesso prossimo agli scoli di torrenti in aree degradate.

Il punto di vista dei gestori balneari

Dal canto loro, i gestori balneari, minacciati da una possibile liberalizzazione del settore, hanno risposto sul portale MondoBalneare, specializzato in turismo balneare, che si rischia di svendere l’ennesimo pezzo di patrimonio pubblico alle multinazionali. Obiettano che la Bolkestein potrebbe celare il tentativo di espropriare gli attuali piccoli imprenditori per saziare l’appetito dei grandi apparati finanziari, minando un regime di privatizzazione che ha reso florido in tutto il mondo il sistema turistico italiano. Affermano, peraltro, vista la fitta concorrenza, che la possibilità di cedere le tante spiagge libere, in molti casi “scomode, sporche e prive di servizi igienici elementari” non è da escludere.

In Europa

È interessante notare le differenze con i paesi europei. In Portogallo, per esempio, vige un regime che di fatto attua la “Direttiva Bolkestein” ma attribuisce titoli di prelazione ai titolari originari delle concessioni, che sfavoriscono l’ingresso di nuovi operatori.

In Spagna, le spiagge sono definite “libere” e quindi non possono essere oggetto di concessione. Al massimo, la zona interna del demanio, quella che precede la spiaggia vera e propria, può essere oggetto di autorizzazione all’“occupazione concessoria” che oggi prevede una durata di settantacinque anni. Invece, le attività a scopo di lucro esercitabili sulla spiaggia sono soggette a autorizzazione amministrativa concessoria di durata quadriennale.

Ad essere un’anomalia positiva è la Francia. Qui, le concessioni di spiaggia devono in ogni caso preservare la libera circolazione e uso del litorale da parte del pubblico per un’area di ampiezza uguale a tutta la riva del mare. La durata di una licenza può valere massimo dodici anni e può comportare l’installazione di strutture solo per il 20% dello spazio occupato.

E ora

A Comuni, Regioni e Capitanerie di Porto è stato chiesto di provvedere alla raccolta dei dati necessari per la mappatura nel più breve tempo possibile. “Pensiamo alla mappatura delle concessioni, al giusto indennizzo, alla valorizzazione delle tante imprese, come i balneari, che hanno investito e contribuito alla qualità turistica del Paese. Una realtà così importante non può essere lasciata senza certezze sul proprio futuro”. Così recentemente il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli nella sua relazione all’assemblea annuale. Al momento, sembra più forte l’intenzione della politica italiana a tutelare gli interessi corporativi dei balneari che adeguarsi alle direttive europee. Resta il dubbio se si intuisca il confine tra imparzialità e arbitrarietà, anche se poi a perderne davvero sono gli italiani e le loro spiagge. Sempre più occupate, sempre meno libere.

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