Dopo oltre 4 mesi di guerra tra l’esercito regolare e i gruppi paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), in Sudan le persone costrette a fuggire sono oltre 4 milioni. A denunciarlo è l’Onu, che parla apertamente di una “situazione” che sta andando ormai “fuori controllo”. Le vittime accertate, dal 15 aprile, quando il conflitto è scoppiato, ad oggi, sono oltre 4000 ma si teme che la soglia sia decisamente più alta. Volker Türk, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani nei giorni scorsi ha sul punto confermato: “Le cifre provvisorie indicano che più di 4.000 persone sono state finora uccise. Tra cui centinaia di civili. Questi includono 28 operatori umanitari e sanitari e 435 bambini. Si ritiene che il numero effettivo di vittime sia molto più alto’’. Non solo, da quando sono cominciate le ostilità in Sudan, si contano a decine le azioni volte a distruzioni di scuole, case, ospedali. Molti anche i casi anche di violenza sessuale accertati, accresciuti del 50%. Tali “atti – le parole sempre dell’Alto Commissario delle Nazione Unite per i diritti umani Türk – possono costituirsi come crimini di guerra’’. Dei 4 milioni sudanesi costretti ad abbandonare le proprie case e i propri villaggi, 3,2 milioni sono sfollati. Di questi, 900.000 si sono rifugiati in Sud Sudan e in Paesi come Ciad (358.000 persone arrivate in quel Paese) ed Egitto.

Tra le città epicentri di combattimenti che hanno costretto queste 4 milioni di persone ad abbandonare le proprie case e i propri villaggi: Khartoum, Bahri, Omdurman e Darfur. In quest’ultima area dell’Ovest del Sudan si è consumato un vero proprio genocidio con le violenze perpetratesi dal febbraio 2003 al 31 agosto 2020 con un numero di morti imprecisato: se ne stimano almeno 300.000, ma anche in questo caso il numero potrebbe essere calcolato per difetto. Per Martha Ama Akyaa Pobee, sottosegretario generale alle Nazioni Unite per il continente africano, il conflitto tra l’esercito regolare sudanese e i paramilitari delle Rsf non ha portato “alcun guadagno significativo ad entrambe le parti”.

Le parti in guerra

Dal 15 aprile scorso a fronteggiarsi per il controllo politico-militare sono l’esercito regolare, sotto la guida del generale Abdel Fattah al-Burhane, presidente del Consiglio sovrano di Transizione in carica dal 2021 dopo il colpo di Stato che ha scalzato dal potere il presidente Abdalla Hamdok, e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) comandante dal generale Mohamed Hamdane Daglo, ostili al potere di Abdel Fattah al-Burhane e decisi a rovesciarlo. Nonostante alcuni cessate il fuoco e il tentativo di mediazione di diversi Paesi, tra cui Usa e Arabia Saudita, il conflitto non si arresta.

A Khartoum un nuovo ospedale di Emergency

In una situazione drammatica per il Paese, un faro di speranza è rappresentato dal nuovo ospedale di chirurgia d’urgenza e traumatologia di Emergency, all’interno del compound del Centro Salam dove già è presente la cardiochirurgia. La presidente di Emergency, Rossella Miccio, afferma: “Conosciamo bene il Sudan, ci lavoriamo da 20 anni. Quando il Paese è diventato teatro di un nuovo conflitto ad aprile abbiamo deciso di rimanere, pur dovendo rimodulare le attività, per non abbandonare i nostri pazienti. Con il protrarsi della guerra – aggiunge – sono aumentati anche i bisogni e per questo abbiamo deciso di ampliare le attività: oltre a sostenere con materiali sanitari vari ospedali abbiamo riadattato una parte del nostro ospedale dove prima ospitavamo pazienti provenienti altri Paesi africani, creando un centro chirurgico per l’emergenza. Qui curiamo feriti di guerra, traumi civili ed emergenze chirurgiche”.

L’ospedale è composto di due sale operatorie, una sala di risveglio, un pronto soccorso (fino a 7 posti letto), una terapia sub intensiva (8 posti letto), spogliatoi dedicati, magazzini per il materiale sterile e pulito, uno spazio di decontaminazione per il materiale che deve essere sterilizzato, e in un altro edificio è stato creato un reparto da 30 posti letto. Nel guest house del Centro Salam erano già presenti 40 posti per pazienti del programma regionale. “Fino ad ora abbiamo ricevuto 77 pazienti di cui 44 con ferite da guerra e 2 morti all’arrivo – racconta Gina Portella, coordinatrice medica del Centro –. Sono stati ricoverati in 27, e i restanti sono stati gestiti in ambulatorio. Siamo in zona di guerra, una guerra attiva, anche se i combattimenti sono un po’ distanti rispetto all’ospedale – continua Portella –. Le persone fanno fatica a muoversi. Quindi i pazienti arrivano in condizioni gravi se non estreme, ed è ciò che vediamo ormai dall’inizio del conflitto anche nell’ospedale cardiochirurgico’’. Nel nuovo centro operano 50 dipendenti sudanesi e internazionali tra chirurghi e medici specializzati in chirurgia d’urgenza e in ortopedia, anestesisti, infermieri e personale di ambito non sanitario.

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