Sono trascorsi sette mesi da quando, all’alba del 7 ottobre 2023, 1.500 soldati di Hamas attraversarono il confine tra la Striscia di Gaza ed Israele per irrompere nei kibbutz, nei villaggi più vicini, e nella zona dove si stava svolgendo un festival musicale, uccidendo circa 1.200 persone e rapendone 253.

Se si esclude la settimana di novembre durante la quale fu stabilita da entrambe le parti una tregua, i combattimenti da allora non hanno conosciuto altri periodi di stop. Da sette mesi le operazioni militari dell’Idf nella Striscia si fanno sempre più intense e da alcuni giorni Rafah, città dove si troverebbero oltre un milione e mezzo di rifugiati nonché fondamentale valico per l’Egitto, è sotto il controllo di Israele.

L’ingresso di Israele nella città all’estremità meridionale della Striscia ha provocato la reazione americana: Washington si dice contraria a questa manovra militare. Per questo, Lloyd Austin, segretario USA alla Difesa, secondo quanto riportato da Haaretz, ha comunicato la decisione di interrompere il trasferimento di armi ad Israele, proprio per le preoccupazioni legate all’operazione militare a Rafah. Gli Stati Uniti temono che il conflitto deflagri in un’escalation regionale.

Il piano di guerra

Nelle ore in cui sembra non essere attesa una svolta sui negoziati, giungono notizie tutt’altro che rassicuranti e sale la preoccupazione per gli ostaggi.
Il gruppo islamico Hamas ha denunciato il ritrovamento da parte di una squadra medica di una fossa comune presso l’ospedale di Al Shifa dove sarebbero stati recuperati già 49 corpi. Secondo Hamas, sarebbero sette le fosse comuni scoperte fino ad ora all’interno degli ospedali di Gaza.

Intanto, il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari, ha fatto sapere tramite il quotidiano Yedioth Ahronot, di avere già presentato al governo il piano per un altro anno di guerra a Gaza: “Non inganneremo l’opinione pubblica. Anche dopo che ci saremo presi cura di Rafah, ci sarà il terrorismo. Hamas si sposterà a nord e si riorganizzerà”, ha annunciato.

Gli ostaggi

Mediatori internazionali sono costantemente al lavoro per promuovere un nuovo accordo che preveda il rilascio dei 132 ostaggi che sarebbero ancora prigionieri di Hamas ed una pausa delle offensive. Secondo Israele dei sequestrati ancora nella Striscia 94 sarebbero tuttora vivi. I familiari degli ostaggi continuano a tenere alta l’attenzione sul destino dei propri congiunti con manifestazioni in diverse città, tra le quali Tel Aviv, durante le quali chiedono un immediato accordo di liberazione. Ma la strada per l’accordo sembra ancora in salita e si teme soprattutto per la sorte di anziani, bambini e donne dei quali non si hanno notizie dal 7 ottobre.

Un alto funzionario di Hamas avrebbe accusato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di aver riportato al punto di partenza i negoziati per il rilascio degli ostaggi israeliani detenuti a Gaza, secondo quanto riportato da Haaretz. Il funzionario ha dichiarato al quotidiano del Qatar The New Arab che Netanyahu lo avrebbe fatto “per guadagnare tempo”. “Le famiglie degli ostaggi devono sapere che l’ultimo round di negoziati rappresenta l’ultima possibilità di riportare indietro i loro figli”, ha avvertito il responsabile di Hamas.

La preoccupazione dell’Oms

Il terrificante bilancio delle vittime e dei feriti preoccupa il mondo intero.
Secondo Hamas dallo scoppio della guerra, a Gaza sono state uccise 34.844 persone per attacchi israeliani nella Striscia e 78.404 sono rimaste ferite. “Siamo profondamente preoccupati per l’aumento delle attività militari di Israele a Rafah, dove la maggior parte della popolazione di Gaza è fuggita per mettersi in salvo. Si stima che tra le 30 e le 40 mila persone abbiano lasciato Rafah per Khan Younis e Deir al-Balah, ma più di 1,4 milioni di persone rimangono a rischio a Rafah, inclusi 600 mila bambini”, lo ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel corso di una conferenza stampa. “Uno dei tre ospedali di Rafah ha già dovuto chiudere. I suoi pazienti si sono trasferiti altrove e il personale ospedaliero sta rimuovendo le scorte e alcune attrezzature per salvaguardarli”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Abbiamo carburante sufficiente solo per gestire i servizi sanitari nel sud per altri tre giorni. È urgentemente necessario un cessate il fuoco per il bene dell’umanità”, ha concluso il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

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