“Voglio che si sappia che sono felice. La donazione degli organi mi ha dato l’opportunità di vivere”.  Felice Peluso, 57 anni, due trapianti, si commuove nel ripercorrere il suo passato, nel raccontare come è cambiata la sua vita da quando è stata stravolta da un problema ai reni esploso all’età di 22 anni. “Ho dovuto reinventarmi. Per forza”, dice. Oggi è un impiegato, sposato, e ha una figlia di 29 anni che lo riempie di orgoglio.

“Tanti pazienti o amici, che stanno decisamente meglio di me, li vedo sempre spenti, vivono male tale condizione. Non è una vita semplice, i disagi sono tanti. Anche quando hai fatto il trapianto non hai risolto i tuoi problemi. Stai sempre sul filo del rasoio. E molti questa situazione non la prendono bene. Ma io mi sento un uomo fortunato, a cui sono state concesse addirittura tre occasioni di vivere”, afferma.

Felice oggi festeggia tre compleanni: nel giorno della nascita, in quello del primo trapianto e del secondo. Ha ottenuto il primo trapianto nel 1988, poi il successivo nel 2004. Dopo l’ultimo è iniziato il suo impegno nel sociale con l’Aido, Associazione italiana per la donazione degli organi, per la quale oggi è il presidente della sezione di Napoli e di Nola-Cimitile. “Promisi a me stesso che dovevo fare qualcosa, perché avevo avuto una terza opportunità”, rivela. E da allora sono state tante le iniziative messe in campo con il suo gruppo, tra convegni, mostre, sfilate, e altri eventi diretti a sensibilizzare sulla donazione degli organi.

La pandemia ha trasferito le iniziative su internet, ma le attività non si sono fermate. Felice in questi anni si è impegnato con l’associazione portando in scena i trapiantati, coinvolgendo le scuole, usando la cultura. E un grande sostegno lo ha trovato negli amici, che non lo hanno mai abbandonato. “Fino ai miei 22 anni facevo una vita iperattiva. E trovarsi a quell’età, nel giro di 1 mese, ipovedente e su una sedia a rotelle, non sapendo cosa mi sarebbe successo domani, non è facile da affrontare. Io, invece, grazie ai miei amici ho avuto un supporto incredibile”.

Felice a 22 anni ha dovuto rinunciare ai suoi sogni, alla passione per le moto, e dare una nuova direzione alla sua vita. All’inizio degli anni Ottanta aspirava a intraprendere la carriera diplomatica. Dopo il diploma iniziò a studiare giurisprudenza, ma dopo un anno dovette lasciare e prese in gestione un bar a Cimitile, comune dove risiede dalla nascita. Con il socio aveva in programma di ampliare l’attività quando nel giro di pochi giorni finì in ospedale e fu costretto ad abbandonare tutti i progetti. Anche il bar. Dopo un mese in ospedale iniziò la dialisi. “Era la mia nuova fidanzata”, dice, perché gli permetteva di sopravvivere e tre giorni a settimana erano riservati alla terapia. Ricorda la stanchezza del dopo, le difficoltà, e come le metteva da parte per passare del tempo con la figlia. “Io non ho potuto giocare con la mia bambina”, afferma tra le lacrime.

Felice oggi si definisce “diversamente sano”. Dovrebbe condurre una vita più tranquilla, ma non si ferma mai, né con l’associazione, né nella sua vita privata. “Forse anche per non perdere quello spirito di sano – è la sua spiegazione -. Pure quando facevo la dialisi, andavo in un centro, poi da lì andavo a Baiano a prendere mia figlia e la portavo in palestra. Cercavo di fare una vita normale, anche se mi costava tantissimo. Molti amici miei dopo la dialisi andavano a casa e si riposavano. Io, invece, nonostante la stanchezza, pur di supportare mia figlia mi mettevo in macchina e andavo da lei”.

Il primo trapianto è arrivato dopo un’attesa di 18 mesi. “Nei 6 anni successivi al primo intervento ho avuto quasi tutto quello che una persona normale possa desiderare: un lavoro, un matrimonio e una figlia”. Poi un rigetto ha reso necessario il secondo trapianto, arrivato dopo 9 anni di attesa. “Comunque resti segnato”, confessa. Felice non dimentica ciò a cui è stato costretto a rinunciare. Ha dovuto accantonare tutto quello che aveva realizzato fino a quando non è arrivato il suo “incidente di percorso”, e andare avanti, guardando alla sua esistenza da una nuova prospettiva. “Io l’ho presa come uno sprono a viverla la vita”, rivela. “Se oggi sono ritornato ad una vita normale – conclude – lo devo a qualcun’altro. Io voglio far capire l’importanza della donazione degli organi, perché tutti ci meritiamo una seconda opportunità”.

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