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Le Nazioni Unite dal 2019 tengono traccia del divario che esiste tra la produzione di combustibili fossili pianificata dai governi nel mondo e i livelli di produzione globale che permettono di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C o 2°C. Le rilevazioni del gap consentono di comprendere quanto realmente i Paesi si stiano impegnando per ridurre l’impatto sull’ambiente di queste produzioni fortemente inquinanti. Ma il rapporto del 2021 non dà notizie positive.

Nonostante si continui a parlare molto di ambiente, di inquinamento, di sostenibilità ambientale, di cambiamenti climatici, emerge che i governi prevedono ancora di produrre entro il 2030 più del doppio (+110%) della quantità di combustibili fossili che sarebbe opportuna per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C (soglia fissata nell’accordo sul clima di Parigi del 2015), e circa il 45% in più rispetto a quanto necessario per mantenere l’aumento della temperatura a 2°C.

“Nei prossimi due decenni, i governi prevedono collettivamente un aumento della produzione globale di petrolio e gas e solo una modesta diminuzione della produzione di carbone. Nel loro insieme, i loro piani e le loro proiezioni vedono la produzione globale e totale di combustibili fossili aumentare almeno fino al 2040, creando un divario produttivo sempre più ampio”. Lo rivela il rapporto, che è redatto dall’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) in collaborazione con diversi ricercatori e istituzioni accademiche.

“Gli impatti devastanti del cambiamento climatico sono qui sotto gli occhi di tutti. C’è ancora tempo per limitare il riscaldamento a lungo termine a 1,5°C, ma questa finestra di opportunità si sta rapidamente chiudendo”, afferma Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep. “Alla COP26 e oltre, i governi del mondo devono farsi avanti – dice -, adottando misure rapide e immediate per colmare il divario nella produzione di combustibili fossili e garantire una transizione giusta ed equa. Ecco come appare l’ambizione climatica”.

La Cop26 è la conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Glasgow a novembre, tra poco più di una settimana. Nell’occasione, ogni Paese dovrà presentarsi con dei programmi per ridurre le emissioni di gas serra a un livello che limiterà il riscaldamento globale a non più di 1,5°C.

Nel mondo sono 15 i principali Paesi produttori di combustibili fossili: Australia, Brasile, Canada, Cina, Germania, India, Indonesia, Messico, Norvegia, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e gli Stati Uniti. La maggior parte di essi ancora contribuisce in modo significativo alla produzione di combustibili fossili, e invece di prevederne una riduzione ne pianifica un aumento. Dal rapporto dell’Unep, poi, emerge che dall’inizio della pandemia da Covid19 molti di questi Paesi destinano a tale tipo di attività più di quanto non investano in energia pulita.

Il rapporto dell’Onu sul clima elaborato dall’Ipcc e pubblicato un paio di mesi fa avvertiva del rischio di irreversibilità dei grandi cambiamenti climatici in assenza di interventi immediati per una rapida e drastica riduzione dei gas serra entro 10 anni. E per arrivare a temperature sotto la soglia di 1,5°C sarà necessario – dice l’Unep – ridurre le emissioni di carbonio di circa il 45% entro il 2030 sulla base dei livelli del 2010.

“La ricerca è chiara: la produzione globale di carbone, petrolio e gas deve iniziare a diminuire immediatamente e rapidamente per essere coerente con la limitazione del riscaldamento a lungo termine a 1,5 ° C”, afferma Ploy Achakulwisut, scienziato e autore principale del rapporto sul Divario di produzione 2021 dell’Unep. “Tuttavia, i governi continuano a pianificare e sostenere livelli di produzione di combustibili fossili che sono di gran lunga superiori a quello che possiamo bruciare in sicurezza”.

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