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È probabile che nei prossimi due decenni le temperature aumenteranno di oltre 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, violando così l’obiettivo dell’accordo sul clima di Parigi del 2015 e portando devastazione diffusa e condizioni meteorologiche estreme. E’ un quadro inquietante quello che emerge dal rapporto dell’Onu sul clima.

L’accordo di Parigi, negoziato alla Conferenza delle parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (Cop21) e sottoscritto da circa 200 Paesi, pone l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento a 1,5 gradi. Ma le previsioni dell’ l’International Panel on Climate Change (Ipcc), la principale autorità mondiale in materia di scienze del clima che ha lavorato al rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite, prevede addirittura un superamento della soglia minima di incremento fissata a 1,5 gradi.

Secondo l’Ipcc, solo una rapida e drastica riduzione dei gas serra in questo decennio può prevenire questo crollo climatico. Servirebbero, quindi, subito interventi. Sul clima, un appuntamento importante è quello previsto per novembre a Glasgow, in Scozia, dove si svolgerà la conferenza delle Nazioni Unite (cop26). In quell’occasione ogni nazione dovrà presentarsi con dei programmi per ridurre le emissioni di gas serra a un livello che limiterà il riscaldamento globale a non più di 1,5°C.

Il G20 che si è svolto a Napoli il 22 e il 23 luglio scorso su ambiente, clima e energia lascia, però, accese poche speranze di interventi volti a contenere nell’immediato l’aumento del riscaldamento globale: nella due giorni di incontri presso il capoluogo partenopeo, sulla necessità di allineare tutti i Paesi all’obiettivo di non superare gli 1,5 gradi centigradi non è stato raggiunto un accordo. “Usa, Europa, Giappone e Canada sono favorevoli, ma quattro o cinque Paesi, fra i quali Cina, India e Russia, hanno detto che non se la sentono di dare questa accelerazione, anche se vogliono rimanere nei limiti dell’Accordo di Parigi”, aveva spiegato a conclusione dei lavori il ministro italiano della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

Il rapporto pubblicato dall’Ipcc è l’esito di otto anni di lavoro e ha permesso di accertare che l’attività umana è, senza dubbio, la causa di rapidi cambiamenti del clima, tra cui l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, le ondate di calore, inondazioni e siccità. Sono diverse le catastrofi climatiche che solo negli ultimi due mesi hanno colpito pesantemente vari Paesi del mondo: dalla Cina, all’Europa, al Canada.

António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, ha definito il rapporto dell’Ipcc “un codice rosso per l’umanità”. “I campanelli d’allarme – ha detto – sono assordanti e le prove sono inconfutabili: le emissioni di gas serra dovute alla combustione di combustibili fossili e alla deforestazione stanno soffocando il nostro pianeta e mettendo a rischio immediato miliardi di persone”. Guterres ha chiesto la fine delle nuove centrali a carbone e dello sviluppo di nuovi combustibili fossili, e ha chiesto a governi, investitori e imprese di riversare tutti i loro sforzi in un futuro a basse emissioni di carbonio. “Questo rapporto deve suonare una campana a morto per carbone e combustibili fossili , prima che distruggano il nostro pianeta”, ha detto. Ma, anche sulla data entro la quale porre fine all’utilizzo del carbone, a Napoli non è stato raggiunto un accordo tra i Paesi del G20.

Ad ogni modo, pur intervenendo oggi con politiche dirette a limitarlo, già non si può escludere che il riscaldamento globale avrà nel lungo termine i suoi impatti “inevitabili e irreversibili” sul clima (l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento del ghiacciaio artico e il riscaldamento e l’acidificazione degli oceani). Secondo gli scienziati dell’Ipcc, drastiche riduzioni delle emissioni possono evitare peggiori cambiamenti climatici, ma non riporteranno il mondo ai modelli meteorologici più moderati del passato.

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