Un anniversario per molti versi triste, date le difficoltà riscontrate molte strutture ospedaliere italiane nell’applicare le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza’’. Domenica 22 maggio 2022 la legge numero 194, che garantisce in Italia il diritto all’aborto, compirà 44 anni. La promulgazione avvenne infatti il 22 maggio 1978 e fu confermata da un successivo referendum tenutosi nel maggio del 1981. La 194, della quale fu il primo firmatario l’esponente del Psi Vincenzo Balsamo, ha permesso alle donne che lo desiderassero di mettere fine alla gravidanza entro i 90 giorni dall’ultimo ciclo mestruale. Da quel giorno molte sono state le speranze di compiere realmente un passo importante verso l’emancipazione femminile, ma le carenze della sanità in Italia sembrano aver tarpato le ali a quei sogni.

I numeri

Perché lo affermiamo?  Perché ci sono i freddi numeri a confermarlo. Secondo infatti un recente report dell’associazione Luca Coscioni, in Italia soltanto il 60% degli ospedali con reparto di ostetricia ha un servizio di Interruzione volontaria di gravidanza (Igv). Nel nostro Paese ci sono almeno 31 strutture, 24 ospedali e 7 consultori con ginecologi, anestesisti, infermieri, sanitari con il 100% di obiettori, 50 con il 90% e 80 che arrivano all’80%. Obiettore, ricordiamolo, è colui che in buona sostanza si rifiuta di adempiere per motivi religiosi, morali o ideologici di fornire determinate prestazioni professionali. In questo caso ci si riferisce al rifiuto nell’intervenire a stoppare una gravidanza.

Parlando di percentuali in generale, si assiste a una diminuzione rispetto al passato. Nel 2020 infatti, secondo la relazione del Ministero della Salute redatta nell’autunno del 2021, la diminuzione degli aborti in Italia rispetto al 2019 è stata del 7,6%. Dividendo gli ambiti per Nord, Centro e Sud, si notano sempre nel raffronto dei due anni, una diminuzione maggiore al Settentrione con -9,1%, con la Valle d’Aosta a dominare con un meno 23,2%. Più contenuto il segno meno al Centro, pari a 3,4%, in cui spicca il -6,9% della Toscana. Percentuale che invece tocca il -8,4% al Meridione. In questo caso è l’Abruzzo a segnare una frenata maggiore con un -10,5%. Il decremento rispetto al 1982, anno con il più alto tasso di interruzione volontaria di gravidanza, è addirittura del 71,2%.

I dati poco confortanti dell’aborto farmacologico

Anche sull’aborto farmacologico, introdotto nel 2009 grazie a una battaglia dei Radicali e con le linee guida successivamente aggiornate nel 2020, l’Italia sembra essere davvero indietro rispetto agli altri Paesi europei. Il contenuto della relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194, parla di un misero 21% in Italia di interruzione di gravidanza con il farmaco RU486, a causa di difficoltà organizzative alle modalità di ricovero previste dalle Regioni.

“Nel 2020 hanno aggiornato le linee guida sull’aborto farmacologico, permettendo la somministrazione di pillole in day hospital o in regime ambulatoriale e passando dalla settima alla nona settimana come soglia. Il tutto però resta sulla carta, al contrario di quanto avviene in Europa, dove le cose sembrano andare meglio in molti Paesi”. A dirlo è Serena Mammani della rete territoriale di Napoli “Ccà nisciun’ è Fessa” (denominazione in napoletano, che tradotta vuol dire “qua nessuna è fessa”, con quest’ultima parola che rievoca come viene ribattezzato nella lingua partenopea il genitale femminile) a margine di un flash mob per la sensibilizzazione del tema tenutosi nella mattinata del 21 maggio in piazza Miraglia a Napoli.

 

L’evento è stato organizzato proprio alla vigilia dell’anniversario della promulgazione nel 1978 della legge 194.  Mammani, che insieme alla sua rete tenta di intercettare quante più donne possibili bisognose d’aiuto perché scontratesi con le inefficienze sanitarie che pare sempre e comunque attanagliare la Campania rispetto al tema aborto, contesta la veridicità dei dati nazionali diffusi. “Manca la trasparenza, dappertutto. I report dell’Istituto superiore di sanità sono falsati e ognuno dichiara quello che vuole. I dati sono aggregati per Regioni ed è impossibile capire da quei report quali siano i numeri di medici obiettori. E intanto – aggiunge – chiudono consultori e in quelli aperti spesso i ginecologi o gli psicologi sono presenti solo poche ore a settimana. Trovare qualche struttura ospedaliera che davvero accoglie le donne spesso lasciate sole, sembra ogni volta una cosa eccezionale. Mentre nel 2022 dovrebbe essere la normalità”.

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