L’Isis compie un nuovo massacro in Burkina Faso. Nella notte tra l’11 e il 12 giugno un gruppo di uomini armati ha assaltato la città di Seytenga, a nord-est del Paese, e ha ucciso almeno 50 persone. Il numero delle vittime non è ancora chiaro. In una conferenza stampa convocata ieri il portavoce del governo, Lionel Bilgo, ha detto che “finora 50 corpi sono stati trovati dall’esercito”, ma ha ha avvertito che il bilancio potrebbe essere più pesante.
Gli attentatori farebbero parte dell’Eigs, l’organizzazione dello Stato Islamico nel Grande Sahara. Testimoni che sono riusciti a sfuggire all’attacco raccontano che sono state uccise tutte le persone intercettate mentre provavano a scappare e quelle trovate nelle abitazioni in cui i terroristi hanno fatto irruzione.
Seytenga è una città situata nella cosiddetta regione dei “tre confini”, un’area situata tra il Burkina Faso, il Niger e il Mali, da anni epicentro della minaccia jihadista nel Sahel. Prima del massacro di due giorni fa erano già stati uccisi 3 residenti e saccheggiate delle abitazioni. Lo riferisce un testimone a Le Monde. “Ci hanno detto che sarebbero tornati per attaccarci”, racconta al giornale francese. E così è stato. Il giorno successivo in una decina avrebbero colpito un posto di sicurezza situato all’ingresso della città, uccidendo undici soldati. Il massacro è stato poi completato due notti fa.
All’indomani della strage a Seytenga, un nuovo attacco si è registrato a circa 12 chilometri di distanza, nella città di Yakouta: sarebbero stati uccisi degli agenti delle forze di sicurezza, almeno 4 secondo i siti di informazione locali.
In Burkina Faso migliaia di persone (soldati e civili) sono state uccise dagli estremisti islamici e oltre 1 milione sono state sfollate dai luoghi dove i terroristi hanno portato morte e distruzione. L’insicurezza determinata dalla minaccia jihadista era stata definita la causa del golpe con cui l’esercito il 24 gennaio scorso si mise al comando del Paese. “Il deterioramento continuo delle condizioni di sicurezza, che minaccia le basi stesse della nostra nazione” e “l’incapacità manifesta del presidente Kaboré a unire i burkinabé per far fronte efficacemente alla situazione”, sono le motivazioni del colpo di stato che furono portate in diretta televisiva dai militari. Chiedevano più risorse, sia economiche che umane, per poter affrontare i terroristi islamici che dal 2015 minacciano la sicurezza in Burkina Faso, e un cambio dei vertici militari. Ma ad oggi i terroristi islamici continuano ad ammazzare.