Fonte foto: Commonsi Wikimedia

L’ultimo massacro risale a una ventina di giorni fa, quando più di 200 civili sono stati uccisi nella zona ovest di Wollega, nello stato regionale di Oromia. In Etiopia sono in corso conflitti lungo tutta la nazione e da novembre del 2020 si sta consumando una guerra di cui si parla molto poco. Vi facciamo oggi il punto della situazione nell’ambito dei nostri approfondimenti sui conflitti nel mondo.

A nord, il territorio conteso è quello del Tigray, la regione del Paese da dove è partita la  guerra civile che nell’ultimo anno ha finito per estendersi oltre confine. A contrapporsi, da una parte c’è il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, e dall’altra c’è il governo etiope, che coadiuvato da milizie di etnia amhara e dall’esercito della vicina Eritrea, vuole liberare il territorio dai “ribelli” del Fplt, catalogati come terroristi.

Il conflitto tra il governo etiope e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray è andato avanti per tutto il 2021. Gli scontri sono stati quotidiani, migliaia le vittime, altrettanto numerosi gli episodi di violenza, anche sessuale, emersi contro i civili, e i danni alle infrastrutture. Il Tigray è finito in uno stato di isolamento che ha ostacolato anche l’ingresso alle organizzazione umanitarie per fornire aiuto alle popolazioni locali, rimaste con risorse alimentari insufficienti e strutture sanitarie carenti. A gennaio l’agenzia ONU World Food Programme (WFP) avvertì che gli intensi combattimenti impedivano le operazioni di assistenza alimentare. 

Da giugno dello scorso anno, la regione è nelle mani delle forze di difesa tigrine. Dopo la conquista del controllo del Tigray, i “ribelli” si sono spinti attraverso le regioni di Amhara e Afar (a sud del Tigray) per poter arrivare fino alla capitale Addis Abeba. Il conflitto si è quindi allargato, provocando ulteriori morti e ancora distruzione. Il bilancio elaborato dall’associazione Acled, organizzazione no profit che fornisce una mappa aggiornata e un’analisi periodica delle zone del mondo in cui sono in atto conflitti, parla di almeno 3.200 vittime nelle regioni di Afar e Amhara negli ultimi sei mesi del 2021 a causa del conflitto, ma il numero effettivo delle vittime potrebbe essere molto più alto.

Con l’obiettivo di arrivare fino alla capitale, le forze di difesa del Tigray hanno tentato un ulteriore slancio: a dicembre hanno raggiunto Debre Sina, città a quasi 200 chilometri da Addis Abeba, ma sono state bloccate delle truppe del governo, che con le milizie alleate di Amhara e Afar hanno iniziato a riprendersi le due regioni. In questa guerra per accaparrarsi il controllo dei territori, sono proseguiti gli scontri lungo i confini regionali del Tigray.

Il governo etiope, nel frattempo, si trova a dover fronteggiare anche insurrezioni che stanno nascendo in altre zone del Paese, dove una coalizione di altre otto fazioni anti-governative (il Fronte Unito delle forze federaliste e confederali etiopi) – di cui fa parte anche il Flpt – vuole smantellare completamente il governo esistente. Tra le otto fazioni, un peso consistente lo sta assumendo l’Esercito di liberazione dell’Oromo, che opera nella regione dell’Oromia, area dove si è registrato il massacro dei giorni scorsi e dove secondo le rilevazioni dell’Acled nel 2021 sono stati uccisi almeno 680 civili. Lo scorso anno, l’Esercito di Liberazione Oromo è stato designato come gruppo terroristico dalle autorità etiopi, che hanno intensificato gli sforzi per sconfiggerlo.

Ovunque il prezzo pagato in termini di vite umane è stato fino ad oggi pesante. Nel Tigray gli scontri stanno proseguendo nel 2022, e delle rivelazioni sull’utilizzo di droni di provenienza internazionale mette in luce anche un possibile coinvolgimento di Paesi esteri nella guerra del Corno d’Africa: a dicembre l’agenzia di stampa Reuters svelò segnalazioni da parte delle autorità statunitensi sull’uso in Etiopia di droni armati di provenienza turca. La Turchia respinse le accuse su un suo ruolo destabilizzante nella guerra e affermò di essere in contatto con tutte le parti in Etiopia per sollecitare i negoziati.

Il governo etiope a dicembre ha dato il via a un dialogo nazionale. A tal fine è stata istituita una Commissione, che però fino ad oggi non ha conseguito alcun risultato concreto. Ci vorrà presumibilmente tempo per trovare soluzioni ai numerosi conflitti, bisognerà raggiungere intese in grado di soddisfare gli interessi dei vari poteri regionali, e i contrasti in essere potrebbero limitare la capacità del governo federale di negoziare con i ribelli.

Il 24 marzo da Addis Abeba è stata annunciata una “tregua umanitaria”, che il governo regionale tigrino si è impegnata a rispettare. Le crisi però in Etiopia non si placano. Il Paese è anche alle prese con una delle più gravi siccità degli ultimi decenni. Nelle regioni più colpite, nell’ultimo anno i matrimoni precoci in sono più che raddoppiati, perché i genitori sposano le loro bambine e ragazze per motivi economici: lo ha rivelato l’Unicef la scorsa settimana. Per la medesima ragione, sono aumentati del 27% i casi di mutilazioni genitali femminili.

Allo stesso tempo, il governo sta affrontando delle tensioni diplomatiche con il Sudan, che ha accusato le forze etiopi di aver ucciso i suoi soldati il mese scorso in una zona di confine contesa. Il primo ministro etiope ha dichiarato che in un incontro in Kenya con il capo dell’esercito sudanese si è concordato di cercare una “soluzione pacifica alle questioni in sospeso”.

Alla guerra civile di 20 mesi nel Tigray, alla fame causata dalla siccità, ai problemi con il Sudan, si aggiunge il massacro dei giorni scorsi a Oromia, regione dove si sta intensificando la violenza etnica: il primo ministro, Ahmed Abiy, ha accusato dell’ultima strage di civili l’Esercito di Liberazione Oromo, che ha negato. Questa settimana Abiy ha promesso di perseguire l’Esercito di Liberazione Oromo e di “eliminarlo”.

L’Esercito di Liberazione Oromo – ha riportato nei giorni scorsi il New York Times -, in un post su Twitter, martedì, ha invece attribuito la responsabilità degli attacchi alle milizie allineate con il governo di Abiy. E la sua tesi è stata supportata da un legislatore del Partito della Prosperità, al governo di Abiy, che in un video in diretta su Facebook ha affermato che alti funzionari del governo di Oromia, tra cui il leader della regione e il commissario di polizia, avevano contribuito a organizzare gli attacchi. Le ultime uccisioni arrivano a distanza di un mese da un altro massacro avvenuto nella stessa regione, quando assalitori armati spararono sui civili a Tole, villaggio a maggioranza Amhara, provocando centinaia di morti e l’esodo di almeno altre 2.000 persone (dati Onu).

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