È un tuffo nel passato, “Uomini e topi”. In quegli anni Trenta in cui l’America viveva la recessione economica seguita alla Grande depressione degli Stati Uniti. Leggendo il romanzo, sembra di essere al fianco di George Milton e Lennie Small (i due protagonisti) e di sentire dal vivo i loro dialoghi sulle sponde del fiume Salinas e nel ranch dove si fermeranno a lavorare per guadagnarsi da vivere, in cui si consumeranno i drammi che chiudono l’opera. Con la sua scrittura semplice e concisa, l’autore del libro, John Steinbeck, riesce a trasferire la miseria dell’epoca, i profumi, i sentimenti di speranza, i sogni e la solitudine dei personaggi.

“Uomini e topi” è un romanzo breve scritto nel 1937, liberamente ispirato alla vita di un paio di personaggi e – come si riporta nel testo – a un episodio realmente accaduto nel 1920 in una fattoria in California. È la storia di un’amicizia, ma anche di solitudini. Una storia che appassionò Cesare Pavese, che nel 1938 realizzò la prima traduzione del romanzo per Bompiani, quando in Italia della letteratura americana – scrive Luigi Sampietro nell’introduzione – non se ne sapeva “granché”, era considerata “barbara e primitiva”, perché raccontava di “realtà sordide” che “il regime negava che esistessero in Italia, ma che non si preoccupava di censurare quando si riferivano a un altro Paese”.

Il 3 agosto del 1947, Pavese scrisse su L’Unità: “Verso il 1930, quando il fascismo cominciò a essere ‘la speranza del mondo’, accadde ad alcuni giovani italiani di scoprire nei suoi libri l’America, una America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente. Per qualche anno questi giovani lessero, tradussero e scrissero con una gioia di scoperta e di rivolta che indignò la cultura ufficiale, ma il successo fu tanto che costrinse il regime a tollerare, per salvare la faccia”.

Dove il fascismo ha tollerato, la moderna cancel culture stava invece esercitando il suo ostracismo. Tentativi di censura ci sono stati nell’ultimo anno: “Uomini e topi” è stato uno dei 273 libri colpiti da tentativi di censura nel 2022, secondo la classifica stilata dall’associazione delle biblioteche statunitensi (American Library Association). Il romanzo è considerato razzista da chi vuole cancellarlo. Ma ciò che viene dal passato va contestualizzato e, all’epoca, negli Stati Uniti vigeva la segregazione razziale, quella che si può conoscere anche attraverso il romanzo di Steinbeck, quando si racconta di Crooks, lo stalliere afroamericano costretto a vivere separatamente dagli altri operai, nel ripostiglio vicino ai cavalli.

“Un uomo diventa pazzo se non ha nessuno. Non importa chi è, né da quanto è con lui. Te lo dico io che a rimanere soli si finisce con l’impazzire”, dice Crooks in uno dei dialoghi che predominano nel libro. La solitudine pervade gli animi dei personaggi del libro: da Crooks, a Candy, alla moglie di Curley, a cui non sarà mai dato un nome, l’unica donna del romanzo, descritta dagli uomini del ranch come una donna provocatoria, volgare, impegnata continuamente a sedurre i braccianti della fattoria, e che nel corso del racconto emergerà solo come una donna sola, con un bisogno di interagire con qualcuno, con la necessità di trovare qualcuno con cui aprirsi, con cui parlare.

Gli unici a non vivere la solitudine sembra che siano i due protagonisti del romanzo. George, il bracciante agricolo che per guadagnarsi da vivere cerca lavoro peregrinando tra i ranch con il sogno di acquistare un giorno un appezzamento di terreno tutto suo, e il suo amico Lennie, il gigante instancabile affetto da un ritardo mentale, di cui George si prenderà cura fino al punto di decidere anche per la sua vita.

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