Rinnovato per altri 3 anni il tanto discusso memorandum Italia-Libia sulla gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo. Le ong e organizzazioni umanitarie hanno già mostrato tutta la loro contrarietà alla (mancata) svolta in un momento nel quale, ancora una volta, l’Unione Europea litiga sull’approdo delle varie navi intercettate nelle acque a largo dell’Italia e del Vecchio Continente.

Il cambiamento o il superamento dell’impianto dell’accordo tra il nostro Paese e quello nordafricano doveva avvenire non oltre il 2 novembre 2022 ma, dato che non ci sono state modifiche entro quella data, l’accordo è stato automaticamente rinnovato per un altro triennio a partire ufficialmente dal 2 febbraio 2023.

Il contenuto del memorandum

Ma cos’è questo memorandum e cosa prevede? Il nome completo è “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana’’. Fu elaborato e sottoscritto il 2 febbraio 2017 dall’allora presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni, e il premier del Governo di riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia, Fayez Mustafa, per, in teoria, combattere la tratta dei migranti e prevenire le partenze dallo stato libico per tutelare la vita di chi intenzionato ad attraversare il Mediterraneo.

Il memorandum si compone di 8 articoli in cui si delineano gli accordi con protagonisti l’istituzione italiana e quella della Libia. Nel primo articolo, ad esempio, al comma c viene specificato come “la parte italiana si impegna a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati dalla guardia di frontiera e dalla guardia costiera del Ministero della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il Ministero dell’Interno’’. All’articolo 2, per citare un’altra parte del memorandum, al punto 3 si parla di “formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza summenzionati per far fronte alle condizioni dei migranti illegali, sostenendo i centri di ricerca libici che operano in questo settore, in modo che possano contribuire all’individuazione dei metodi più adeguati per affrontare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani”.

Le contraddizioni e la realtà dei fatti

I riferimenti esplicitati fanno parte di quella parte del memorandum altamente avversata dalle organizzazioni non governative e umanitarie. Infatti, come è stato raccontato da inchieste giornalistiche e non solo, la cosiddetta Guardia Costiera libica sostenuta e finanziata anche dagli italiani, spesso riporta i migranti sulle coste del Paese nordafricano rinchiudendoli nei cosiddetti centri di accoglienza, in realtà veri e propri lager. Al loro interno vengono praticate torture, stupri, e manca il più elementare rispetto dei diritti umani. Ad esserne rinchiuse persone soprattutto dell’Africa subshariana e del Nord (ma non mancano persone dei Paesi asiatici transitati sul territorio).

Dal 2017 ad oggi, affermano le Ong, si calcola almeno in 100.000 le persone riportare sulla costa con 100 milioni di euro garantiti per formazione ed equipaggiamenti in favore della Guardia Costiera libica (45 milioni attraverso la missione italiana). La speranza era appunto il superamento del memorandum. L’articolo 8, infatti, recita così: “Il presente Memorandum entra in vigore al momento della firma (il 2 febbraio 2017, ndr.). Ha validità triennale e sarà tacitamente rinnovato alla scadenza per un periodo equivalente, salvo notifica per iscritto di una delle due Parti contraenti, almeno tre mesi prima della scadenza del periodo di validità”. Cosa non avvenut. L’accordo sarà ancora in piedi almeno per i prossimi 3 anni.

L’allarme di Mediterranea Saving Humans

La delusione per il rinnovo dell’accordo è lampante nelle dichiarazioni di Laura Marmorale del direttivo nazionale di Mediterranea Saving Humans. “Ancora una volta la politica ha deciso di non intervenire sul memorandum. Anche il nuovo Governo di Giorgia Meloni si pone in continuità con quelli precedenti, di diversa estrazione politica. L’Italia – dice Marmorale – continuerà ad appaltare e a esternalizzare la gestione dei flussi migratori alla cosiddetta Guardia Costiera libica che molto spesso riporta i migranti nei cosiddetti centri d’accoglienza dove avvengono torture, aggressioni, stupri, compravendita di schiavi. Il rispetto dei diritti umani non è affatto garantito”. La rappresentante di Mediterranea Saving Humans aggiunge: “Nonostante i racconti di molti migranti (raccolti dalle Prefetture e altre autorità ndr.) rispetto a quanto succede in questi lager in Libia, non si è mai arrivati alla loro chiusura. In proposito, lancio un appello all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr ndr.) e all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim ndr.) perché non siano più silenti e spingano a far intervenire chi di dovere”. La Marmorale ricorda anche: “La Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui diritti umani e l’Italia ha delegato a un Paese la salvaguardia di migliaia e migliaia di persone in difficoltà” .

Le proposte

Al di là dell’indignazione per il superamento del memorandum Italia-Libia, l’attivista e componente del direttivo nazionale della Mediterranea Saving Humans elenca una serie di proposte alternative. Oltre alla cancellazione dell’accordo italo-libico sui migranti e al superamento del Trattato di Dublino che esplicita come il Paese di primo approdo dei migranti è quello che se ne deve fare carico – con l’Italia molto spesso lasciata sola visto che è uno dei Paesi di porta d’ingresso per l’Europa, la Marmorale chiede: “L’apertura di canali d’ingresso legali in Italia di migranti provenienti dalla Libia; le ambasciate dei Paesi coinvolti devono avere un ruolo maggiormente attivo attraverso la creazione di percorsi chiari di regolarizzazione. La chiusura di tutti i centri di accoglienza lager in Libia e, finalmente, portare innanzi alla Corte penale internazionale quelle persone che non hanno rispettato i diritti umani macchiandosi di maltrattamenti e di mortificazioni delle donne di diversi Paesi africani”. Dalla Nigeria alla Somalia, all’Eritrea, ma non solo.

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