Un’emergenza idrica già in atto anche per quest’anno, nonostante non siamo nemmeno in primavera. In Italia, e al dire il vero in molti altri Paesi d’Europa e del Mediterraneo, la scarsità della pioggia e l’incapacità a raccogliere le acque piovane determinano una condizione di diffusa siccità, che pone davanti la necessità di accorgimenti visto anche il surriscaldamento globale. Le immagini delle secche del Po e di altri fiumi e laghi italiani non lasciano indifferenti chi ha sensibilità ambientale. Tell ha discusso dell’argomento con Roberto Braibanti, manager ambientale e presidente Gea Ets (ente di terzo settore). Braibanti è un attivista ambientale da 40 anni e nella precedente consiliatura di Napoli (2016-2021) è stato consigliere dell’Ato 1, l’Ambito territoriale ottimale del capoluogo partenopeo di cui si è occupato proprio di acqua. Inoltre, lavora con enti pubblici prestando consulenze.

La parola all’esperto

“La situazione rispetto alle risorse idriche in Italia, e non solo, è complicatissima”, afferma subito Braibanti, e aggiunge con rammarico: “Siamo in un periodo di cambiamenti climatici ormai evidenti a tutti e questo comporta una serie di conseguenze. Questo Paese non è abituato a lavorare di programmazione ma solo sulle emergenze”. Intanto, “le grandi fasi di enorme siccità a cui si contrappongono violente piogge portano a escursioni violente tipiche del clima tropicale a cui oramai si tende. Per rovesciare la situazione in vista dell’estate, dovrebbe piovere 3 mesi consecutivi ma non è mai successo”. Alcuni dati raccolti e riferibili all’indice Spi (indice di siccità che si ottiene tramite una normalizzazione della distribuzione di probabilità di pioggia) che coprono il 2021, 2022 e i primi mesi del 2023 sono esemplificativi del fenomeno. Attualmente il fiume Po sconta circa 3,5 metri di acqua in meno rispetto alla soglia attesa del periodo invernale e pre-primaverile. Il Lago di Garda ha un deficit di riempimenti pari a -35%. Nel 2022, sempre stando a quanto specifica l’indice Spi, sono caduti in Italia 300 ml per metro quadro in meno di pioggia in tutt’Italia. “Cioè – sottolinea Braibanti – parliamo di 30 litri in meno per ogni metro quadro. C’è l’87% di precipitazioni in meno e questo nel quadro generale corrisponde a un meno 40% di neve su Alpi e Appennini. Questi numeri sono un combinato disposto di una crisi idrica pesante che non consentirà alcun recupero nella primavera 2023. Non ci sarà disgelo, vista la poca neve, e quindi non ci sarà discesa di acqua”.

Le regioni d’Italia e i Paesi del Mediterraneo messi peggio

Ma quali sono le zone d’Italia che soffrono maggiormente della crisi idrica in questo momento? Il manager Roberto Braibanti ha pochi dubbi. “Lombardia, Veneto, Liguria, la zona Aosta, il trevigiano, la zona del Friuli Venezia Giulia ma anche al Centro-Nord, Emilia Romagna e anche parte della Toscana ad avere crisi idrica. L’Adda è quasi completamente vuoto, l’Adige è completamente in secca come se fossimo ad agosto e invece siamo solo a inizio marzo”. Le regioni del Meridione di questi tempi se la passano un po’ meglio rispetto alle risorse idriche. Ma, ammonisce l’esperto ambientale, “è successo perché il clima è girato in maniera tale che le perturbazioni si siano bloccate sulle Alpi e l’area fredda che è scesa giù dal Nord hanno incontrato delle perturbazioni che venivano dall’Africa arrivate al Centro-Sud. Cosa che ha comportato delle precipitazioni. Ma non è detto che l’anno prossimo succeda la stessa cosa”. Solo l’Italia, nell’area del Mediterraneo, soffre? Assolutamente no. “Spagna, Grecia, Portogallo, Sud della Francia, Svizzera, Croazia, parte della Serbia, l’Albania hanno problemi simili. Il Mediterraneo è un mare basso e quindi potrebbe aver perso la sua capacità di assorbire”.

Le falde acquifere in crisi

Sulla questione dell’assorbimento delle acque, ci sono altri elementi da tenere in considerazione per Roberto Braibanti. “La falda – spiega il già consigliere Ato 1 di Napoli e presidente di Gea ets – deriva in parte dalle precipitazioni e neve ma anche da un suolo che dovrebbe avere la capacità di assorbire. Ma siccome il consumo di suolo in questo Paese è pazzesco è chiaro che c’è meno possibilità di farlo”. Il surriscaldamento globale ha già prodotto danni incalcolabili. “Il clima per ritornare a una condizione di maggiore normalità ha bisogno di 40-50 anni, ne beneficerebbero le prossime generazioni. L’Artico, se noi smettiamo di inquinare, si scioglierà comunque, l’innalzamento del mare è una realtà”. Secondo quanto affermato dal Governo italiano “il piano adattamento climatico il mare nel nostro Paese è cresciuto di 19 centimetri negli ultimi 20 anni e nei prossimi 20 si prevede che ne crescono di altri 19 centimetri. Quando c’è una tempesta, le onde diventano grandi di 4 metri da 2 di oggi. E noi siamo qui palesemente fermi. A Miami Beach hanno già il mare che entra essendo pianeggiante con le maree oceaniche che entrano nelle fogne. Il problema l’avranno tutte le città di mare: Napoli, Barcellona, Venezia, Shenzhen, Tokyo, Manhattan”.

Gli accorgimenti da adottare

La situazione appare quasi irrimediabilmente compromessa. “Sembra che la politica non abbia capito di cosa si stia parlando”, attacca Braibanti, che offre delle possibili soluzioni che possano quantomeno mitigare l’effetto emergenziale. “Abbiamo piogge sempre più violente e sempre più concentrate, non possiamo più permetterci di non raccogliere acqua e che le nostre acque bianche finiscano in mare, vanno creati dei bacini”. Per tale motivo “le acque vanno recuperate, filtrate e utilizzate per l’agricoltura come ad esempio succede in Israele da 40 anni dove oramai anche la fogna viene depurata e potabilizzata. In questo modo l’acqua così, con tanto di certificazione, diventa bevibile”. Sempre in Israele “l’acqua della fogna non la buttano a mare, la convogliano in grandi bacini artificiali dopo averla depurata e da lì partono i convogli che servono per produrre nel loro deserto le arance che noi acquistiamo al supermercato”. Ancora sull’agricoltura, insiste Braibanti, “bisogna fare colture su terreni secchi, cambiando il modo di irrigare. L’irrigazione a pioggia non va più bene, ma fatta goccia a goccia ottimizzando l’utilizzo dell’acqua e la crescita della pianta. Ribadisco: l’acqua deve venire da micro bacini, oggi diffusi, dove l’acqua bianca deve essere convogliata nel periodo di maggiore pioggia in virtù di quando le piogge non ci sono”. Ma le parole Roberto Braibanti adesso assomigliano soltanto a un auspicio se si considera che in Italia si perde di acqua dolce e da irrigazione, utilizzata nelle case tra il 40 e il 45% in media. In Sicilia si arriva al 60%, a Napoli attorno al 37-38%. “Gli acquedotti sono dei colabrodo” chiosa il presidente di Gea Ets.

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