È Bologna la prima grande città italiana a iniziare la transizione verso il modello di “città 30”. Infatti, è iniziata dal primo luglio la sperimentazione nel capoluogo emiliano del piano di miglioramento della sicurezza stradale che prevede l’introduzione del limite di 30 km/h nella maggior parte delle strade cittadine, oltre che nel centro storico dove già è in vigore. In particolare, la novità riguarda il 70% del centro abitato, ma considerando solo l’area più densamente popolata della città metropolitana, la percentuale arriva al 90%.

Ridurre il Piano Particolareggiato, approvato dalla giunta comunale guidata dal sindaco Matteo Lepore a novembre scorso, ad una semplice modifica del codice stradale sarebbe un errore. Si tratta, in effetti, di un passaggio storico che sancisce un tentativo concreto di rivoluzionare la mobilità e di aumentare la fruibilità dello spazio cittadino. Questo è anche il motivo per cui sul sito del piano si legge che trattandosi di un cambiamento storico e culturale, che porterà gli utenti ad una graduale modifica delle proprie abitudini alla guida, l’Amministrazione ha deciso di non partire subito con le sanzioni legate ai nuovi limiti di velocità, aspettando l’inizio del 2024. Contestualmente si sfrutteranno questi sei mesi di distanza per sostituire o installare almeno 500 cartelli stradali e altrettante scritte sull’asfalto e per promulgare un’attività capillare di comunicazione e sensibilizzazione sul territorio.

I lati positivi

I risvolti positivi del piano “città 30” sono diversi. In primis, comporta un aumento sensibile degli spostamenti a piedi e in bici e rende lo spazio pubblico più vivibile. Mira a ridurre le emissioni di smog e gas climalteranti fluidificando il traffico spesso vittima degli stop-and-go dannosi per l’ambiente. Inoltre, contrasta significativamente l’inquinamento acustico che attanaglia le nostre strade, restituisce autonomia a bambini, anziani, persone con disabilità e favorisce la coesione sociale e il commercio di vicinato nei quartieri. Ma forse il risultato più auspicato sarà proprio quello del calo degli incidenti stradali con il conseguente aumento di sicurezza nelle nostre strade come d’altronde esempi virtuosi mostrano già. E si tratterebbe di una grande vittoria vista la situazione attuale nel nostro Paese.

Secondo i dati della polizia Stradale, a fronte di un incremento dell’incidentalità complessiva del 7,1% (70.554 contro i 65.852 del 2021), gli incidenti mortali (1.362) e le vittime (1.489) sono aumentati rispettivamente del 7,8% e dell’11,1%. Per di più, il 70% dei sinistri si verifica su strade urbane e la principale causa risiede troppo spesso nell’eccesso di velocità e nel superamento dei limiti. Un allarme a cui non si può restare indifferenti. Come spiega in un decalogo la Fiab, la Federazione italiana amici della bicicletta, il vantaggio della area 30 è la possibilità di portare avanti politiche di mobilità dolce, garantendo una riduzione della carreggiata ed un ampliamento dei marciapiedi fruibili.

I contrari

La destra italiana non ha accolto di buon grado la novità e dalla voce del bolognese Galeazzo Bignami, viceministro alle Infrastrutture, che dal convegno dell’Uiltrasporti di Montecatini Terme ha sottolineato la difficoltà nel realizzare un progetto del genere oltre che il problema dei tempi di percorrenza che i lavoratori devono rispettare. Prende posizione anche Lanfranco Massari, portavoce di TimBo, il tavolo metropolitano di coordinamento permanente dell’imprenditoria bolognese, affermando che il provvedimento “rischia di rallentare anziché fluidificare il traffico e di ottenere effetti contrari a quelli sperati”. Inoltre, c’è chi sostiene che supponendo una maggior sicurezza stradale non sarà insolito da parte dei pedoni e dei ciclisti distrarsi e sottovalutare i rischi e anche chi reputa dispositivi tecnologici intelligenti, come la frenata di emergenza automatica, obbligatoria dal 2022, sufficienti per ridurre l’incidentalità.

Tra l’Italia e l’Europa

Bologna prima, ma prima fra le grandi città, dal momento che il comune apripista fu Cesena nel 1998 dove attualmente quasi il 40% della rete viaria è percorribile a 30 km. La lista dei comuni italiani con vaste zone con limite a 30 km/h si è poi allungata con il tempo sino a comprendere i 150 km della rete viaria di Reggio Emilia, i centri storici di Vicenza, la zona interna alle mura magistrali di Verona, buona parte del centro di Firenze, Genova, Caserta, Bergamo, la zona interna alla cinta muraria di Arezzo e Cuneo, e infine Olbia che dal 2021 è diventata il primo comune a 30 all’ora. Nel frattempo, nel 2024 sarà il turno di Parma, mentre all’ombra della Mole, a Torino, seppur ignota la data, scatterà a breve l’obbligo dei 30 km/h per tutte le strade secondarie. Milano, invece, si appresta a seguire concretamente le orme della virtuosa città emiliana dal prossimo anno. Manca, infatti, solo l’approvazione della giunta per istituire il limite di 30 km/h che dovrà però prevedere un periodo di rodaggio in città, ma non finisce qui: la città meneghina punta a trasformare poi molte delle “zone 30” in “zone 20” così da moderare la velocità dei veicoli e rendere sempre più libero lo spazio pubblico.

In Europa, la prima realtà a optare per la norma fu nel 1979 la francese Chambery, che con i suoi 60.000 abitanti ha visto calare gli incidenti da 432 a una decina in meno di trent’anni. Oggi in Francia a adottare la limitazione sono, fra le altre, anche Grenoble e soprattutto Parigi, mentre in Spagna esiste persino una normativa nazionale. Altre grandi metropoli come Berlino, Bruxelles, Amburgo, Zurigo, Helsinki, Edimburgo e Graz non fanno eccezione. Londra ha, poi, iniziato il processo già nel 2000.

Ci sono casi come Helsinki e Toronto dove la mortalità si è pressoché azzerata, o come Zurigo dove l’inquinamento acustico è semi-scomparso. E casi come la francese Lille, “città 30” dal 2019, dove i ciclisti sono aumentati del cinquanta per cento, e la basca Bilbao in cui dal 2020 gli ossidi di azoto e il PM10 sono calati nell’ordine del dieci per cento e gli spostamenti in bicicletta sono cresciuti di sei volte. Emblematico, invece, come a Parigi le limitazioni partite dal settembre 2021 abbiano prodotto come risultato una riduzione della velocità media di appena 1 km/h. Come riporta Le Parisien, sono solo 4 gli autovelox che sorvegliando l’intera flotta di automobilisti: troppi pochi.

Il futuro

Difficile stabilire se si tratti di un progetto vincente, ma uno studio di Jesùs Casanova, ricercatore dell’Università Politecnica di Madrid, pubblicato sulla rivista scientifica Global Nest nel 2012, dimostra gli inequivocabili benefici, superiori agli svantaggi, di questa grande novità. Gli incidenti nelle zone studiate sono diminuiti del 25%, e le emissioni di CO2 si sono sensibilmente ridotte. L’ha confermato un test di una Peugeot 406 con motore diesel e con una cilindrata da 1997 che nelle zone 50 ha emesso come picco di emissione 2,2 grammi al secondo, mentre nelle zone 30 ha registrato un picco di emissione inferiore ad un grammo di CO2 al secondo.

Il modello di “Città 30” non vuole disincentivare l’uso dell’auto, i cui tempi di percorrenza restano gli stessi, ma piuttosto mira a incentivare la mobilità attiva e l’uso dei mezzi pubblici, e tenta di farlo non attraverso una costosa e eccessiva infrastrutturalizzazione, ma con la bassa velocità dei veicoli a motore. Come spiega Claudio Magliulo, coordinatore di Clean Cities per l’Italia, le città 30 sono uno strumento da utilizzare nel modo giusto: il modello da seguire è quello delle living streets olandesi, stradine strette con alberi, panchine, chicane, sopraelevazioni e pavimentazioni diverse. Quindi non basta il cartello di limitazione della velocità, ma servono nuove soluzioni urbanistiche: marciapiedi più larghi, carreggiate più strette e attraversamenti pedonali.

Le perplessità restano forti anche per motivazioni culturali; l’auto è profondamente radicata nella nostra tradizione e siamo il Paese più motorizzato d’Europa dopo il Lussemburgo, per cui è importante saper ben comunicare una tale misura ad una cittadinanza preoccupata del possibile aumento del traffico e dei tempi di percorrenza. Oggi, però, sottolinea Magliulo, è lo stile di guida a far la differenza: “Quando guidi oltre i limiti urbani, hai la sensazione di procedere velocemente. Poi, però, devi rallentare per la coda, rimani bloccato nel traffico, ti fermi agli attraversamenti, freni prima delle rotonde. E alla fine la velocità media risulta molto bassa. Il risultato è che con lo “stop and go” si consuma molta più benzina e si inquina molto di più”.
Bisogna far i conti con le nostre città e con la congestione che le affligge, e che spesso va a discapito di chi vuole vivere lo spazio pubblico in modo diverso. Accelerare, frenare, fermarsi, ripartire. Un circolo vizioso che alimenta uno stress cittadino, espone a incidenti, e inquina.
Rallentiamo. Farlo non è sempre un male.

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