È iniziata oggi, giovedì 20 luglio, la nona edizione ufficiale del campionato mondiale di calcio femminile in territorio austro-neozelandese con la partita inaugurale Nuova Zelanda-Norvegia. Dopo decenni di eventi non ufficiali, nel 1991 la Fifa (la Fédération Internationale de Football Association) organizzò il primo Fifa World Championship for Women’s Football for the M&M’s Cup, così chiamato per non intaccare il brand della World Cup maschile. Da quel momento i diritti televisivi per il torneo internazionale iniziarono ad essere venduti come parte di quelli previsti per il campionato mondiale maschile, ma con diverso valore economico. Per le emittenti, almeno in un primo momento, il calcio femminile servì solo per rendere ancora più appetibile l’offerta per la rassegna iridata maschile che, in questo modo, aumentava inesorabilmente.
Se la stessa Fifa è parsa poco propensa a investire in un campo poco redditizio, bisogna ammettere che il presidente della Fifa, Gianni Infantino, è stato fedele alle sue promesse. E negli ultimi anni l’intero movimento globale ha visto uno sviluppo e una crescita esponenziali grazie ad un’audience internazionale in costante aumento e un settore di mercato in grande espansione. È un Mondiale dei record e lo certificano i tanti tifosi che proverranno dall’estero (si stima da 182 Paesi) e il numero di 1,4 milioni di spettatori, cifra che supera anche l’edizione di Canada 2015. Per la prima partita delle australiane, contro l’Irlanda, addirittura la Fifa ha dovuto cambiare stadio, virando sullo Stadium Australia da 83mila posti per venire incontro all’enorme richiesta di biglietti.
E anche attorno alla nostra Nazionale, tutto è migliorato: lo status professionale delle atlete, che dal luglio del 2022 sono finalmente diventate professioniste, il livello del campionato, sempre più attrattivo per calciatrici straniere e sempre più competitivo, l’idea finalmente che il calcio femminile non sia uno sport di serie B, anche se ancora distante dal livello di visibilità della nostra Serie A. Il calcio in Italia ha smesso di avere genere, come testimonia il numero delle tesserate Figc, tra il 2008 e il 2022, sono cresciute del 94 per cento: una crescita irresistibile, che da un lato evidenzia come sia sempre più facile l’accesso delle giovani al calcio, dall’altro avrà la conseguenza inevitabile di migliorare l’intero movimento nazionale.
Le polemiche
Ma se una Coppa del Mondo inizia dall’altra parte del mondo e nessuno può vederla, inizia davvero? Se lo sono chiesti in molti in questi mesi, intavolando il contorto problema dei diritti televisivi. Mai prima questo torneo aveva dovuto affrontare così tanti ostacoli prima della partenza. In primo luogo, per il pubblico europeo i Mondiali di Australia e Nuova Zelanda saranno un problema di fruizione, perché per via del fuso orario quasi tutte le partite si giocheranno di mattina e soprattutto in giorni feriali e in avvicinamento alle vacanze estive. E, in secondo luogo, c’è stata necessità di sciogliere il nodo stretto dei diritti televisivi che ha visto come protagonisti da un lato Gianni Infantino, desideroso di monetizzare per la prima volta la vendita dei diritti televisivi della massima competizione calcistica femminile (anche per coprire l’aumento vertiginoso del montepremi) e dall’altro i network televisivi europei, accusati di aver offerto poco o pochissimo.
A maggio, Infantino, parlando a una riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio a Ginevra, aveva affermato che le offerte dei cinque paesi principali europei (Gran Bretagna, Spagna, Italia, Germania e Francia) erano così “basse” rispetto al torneo maschile da equivalere a uno “schiaffo in faccia” per le giocatrici e “tutte le donne del mondo”. Secondo quanto riportato dal Guardian, è stata proprio l’Italia ad aver presentato la peggior offerta, mettendo sul piatto 300.000 euro, rispetto ai 160 milioni di euro pagati per i diritti della competizione maschile in Qatar (dove mancava la nostra Nazionale). Anche l’Inghilterra stessa con l’offerta congiunta di BBC e ITV voleva sborsare una cifra pari all’8% di quanto pagato per l’edizione maschile, mentre la Germania aveva offerto 5 milioni, quando la Fifa ne chiedeva 10.
Solo l’intervento dei ministri dello Sport dei grandi Paesi europei ha saputo sanare, seppur parzialmente, la frattura tra la FIFA e le tv, anche se poi entrambe le parti ci hanno inevitabilmente perso. La Fifa che ha incassato molto meno del previsto e i telespettatori europei che riusciranno a vedere meno di quanto ci si aspettava. In Italia, ad esempio, potremo vedere solo quindici partite sulle 64 in programmazione, in esclusiva sui canali Rai. Quello che la Fifa esigeva era maggior visibilità e remunerazione dai grandi canali broadcast europei per compensare anche l’ingente montepremi di questa nuova edizione. Infatti, la Fifa ha voluto mettere mano al portafogli, investendo una cifra superiore ai 500 milioni di dollari divisa tra le federazioni, le singole calciatrici, e la squadra vincente. La novità di questa edizione sarà però che una parte del montepremi sarà riservata al compenso di ciascuna giocatrice, in maniera tale da non delegare alla discrezione della singola federazione la dotazione.
La parità
Se il montepremi di questa edizione è di 110 milioni di dollari (di gran lunga superiore ai 30 milioni stanziati per il precedente mondiale del 2019 in Francia), trasferendoci nel mondo maschile troviamo delle evidenti differenze, dove il montepremi per la rassegna iridata del 2022 è stato di 440 milioni. Basta poi considerare che ai 10 milioni spettanti alla nazione vincitrice di Australia-Nuova Zelanda 2023 rispondono i 42 milioni ricevuti dall’Argentina campione del mondo, oppure ai 10 milioni per le nazionali che si sono fermate ai gironi a Qatar 2022, quasi cinque volte il premio assegnato alle squadre femminili per la stessa evenienza.
È un tipo di dibattito in cui le argomentazioni sulla parità di genere si mischiano al reale appeal economico delle partite in questione, e che risulta complesso da sbrogliare. L’obiettivo è la parità salariale entro il 2027, come ha sostenuto Infantino nel marzo scorso al 73° Congresso FIFA in Ruanda, ma serve di più. È compito ovviamente del servizio pubblico contribuire allo sviluppo di un movimento che ha vissuto troppo dietro l’ombra di quello maschile, ma, allo stesso modo, sarà compito della Fifa trovare una soluzione sostenibile che possa beneficiare a tutti, emittenti televisive comprese. È importante pareggiare i montepremi, ma anche chiedersi da dove può proviene quel denaro. È meglio chiedere investimenti rischiosi alle tv o ridurre il gap abbassando le offerte per il calcio maschile?