Fonte foto: Masih Alinejad (twitter)

Negin Bagheri ed Elnaz Mohammadi sono le ultime due giornaliste a finire in carcere in Iran. Dovranno restarci per almeno un mese. Sono accusate di “collusione” e “cospirazione” per motivi che non sono ancora chiari. E’ al giornale per cui lavora Mohammadi – il quotidiano riformista Ham Mihan – che il suo avvocato conferma oggi la notizia. Bagheri è invece reporter per il quotidiano non affiliato Haft-e Sobh.

Mohammadi era già stata arrestata a febbraio, quando fu fermata presso gli uffici della procura ”per fornire spiegazioni”, raccontò il marito Saeed Parsaei su Twitter.  Restò in carcere per una settimana. La sorella, Elahe, è invece reclusa dal 29 settembre con l’accusa di “propaganda contro il sistema e di cospirazione contro la sicurezza nazionale”: fu arrestata dopo il funerale di Mahsa Amini, la giovane donna curda morta a 22 anni, lo scorso 16 settembre, mentre era detenuta dalla polizia morale di Teheran per non aver indossato correttamente il velo islamico.

Nei giorni scorsi è stata di nuovo arrestata anche la reporter Nazila Maroufian, era in pubblico senza velo. Lo ha riportato mercoledì un’agenzia di stampa iraniana. Maroufian era stata liberata su cauzione all’inizio di agosto. Secondo quanto riporta la giornalista iraniana Masih Alinejad, sarebbe stata bloccata nella sua abitazione. “Nazila Maroufian, la giornalista che ha intervistato il padre di Mahsa Jina Amini, è stata arrestata per la quarta volta in meno di un anno. Oggi – scrive su Twitter Masih Alinejad – gli oppressori hanno fatto irruzione nella sua casa, hanno sfondato la porta e l’hanno rapita violentemente. Ironicamente, il regime più anti-donna del mondo è terrorizzato dalle donne più di ogni altra cosa”.

Dalla morte di Amini sono esplose proteste che sono andate avanti per mesi e che sono state denominate “Donna Vita Libertà”. A ribellarsi soprattutto le donne. Centinaia i manifestanti uccisi. Secondo i dati elaborati da Amnesty International, solo nei primi tre mesi dall’inizio delle proteste sarebbero stati oltre 400 i manifestanti uccisi dalle forze di sicurezza e paramilitari. Tra questi, almeno 50 i minorenni. Migliaia le persone fermate e condannate a lunghe pene detentive. “Possiamo confermare – scrive Amnesty – che almeno 20 persone sono state condannate a morte, ma potrebbero essere molte di più”. Tra i soggetti presi di mira dal regime iraniano anche i giornalisti: secondo i media locali più di 90 sarebbero stati bloccati dopo le proteste.

A distanza di pochi giorni dall’anniversario della morte di Amini si sarebbe intensificata la repressione: diverse associazioni internazionali hanno segnalato numerosi arresti. Amnesty International in una nota denuncia: “In vista dell’anniversario, come documenta una nostra ricerca, le autorità iraniane stanno intensificando la campagna di minacce e intimidazioni contro le famiglie delle vittime”. L’organizzazione internazionale parla di “arresti arbitrari e detenzioni di parenti delle vittime, crudeli limitazioni ai raduni dove queste sono state sepolte, danneggiamenti e distruzioni di lapidi” e invoca le autorità iraniane a “consentire che, in occasione del primo anniversario delle proteste ‘Donna Vita Libertà’ del 2022, le famiglie delle vittime possano svolgere le loro commemorazioni senza rappresaglie”.

Amnesty riferisce, in particolare, di aver condotto una ricerca su “36 famiglie di altrettante vittime che negli ultimi mesi hanno subito violazioni dei diritti umani in dieci diverse province iraniane: 33 uccise durante le proteste, due messe a morte e una torturata e suicidatasi dopo la scarcerazione”.  “Queste famiglie – afferma – sono state sottoposte ad arresti arbitrari e successive detenzioni, procedimenti giudiziari per accuse non circostanziate di minaccia alla sicurezza nazionale, interrogatori coercitivi, in alcuni casi periodi di carcere e frustate e, infine, a sorveglianza illegale. I luoghi dove erano stati sepolti i loro cari sono stati danneggiati o distrutti”. In una foto pubblicata sul sito dell’associazione, la tomba ridotta in cenere di Majid Kazemi, manifestante giustiziato dal regime lo scorso maggio.

The picture on the left shows Majid Kazemi’s grave draped in red cloth, before it was vandalised. The picture on the right shows his grave on 8 June 2023, after it was set on fire overnight, with the cloth destroyed.

“Amnesty International ha anche documentato e pubblicato immagini del danneggiamento o della distruzione delle tombe di 20 vittime in 17 diverse città. Le tombe sono state ricoperte di catrame o vernice e date alle fiamme; sono state divelte le lapidi e sono state cancellate le frasi su queste riportate, in cui si definiva la vittima come un “martire” o si affermava che era morta per la causa della libertà”. La devastazione delle tombe delle vittime della repressione è stata più volte stigmatizzata dalla famiglia di Mahsa Jina Amini. La risposta delle autorità iraniane? Spostare la tomba della 22enne curda, diventata luogo di ritrovo delle famiglie dei manifestanti uccisi, in un cimitero più difficilmente accessibile al pubblico.

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