Si celebra oggi, 10 ottobre, la giornata mondiale della salute mentale. Istituita nel 1992, è promossa dalla World Federation of Mental Health (Federazione Mondiale della Salute Mentale) e supportata dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Il tema della campagna per il 2023 è: “La salute mentale è un diritto universale’’. Su questo solco si inseriscono le parole nel messaggio che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato al ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Le malattie mentali sono patologie dai cui rischi i malati devono essere protetti con cure appropriate – le parole del Capo dello Stato – Nonostante i molteplici strumenti di tutela, sono ancora numerosi i Paesi in cui le persone affette da patologie di Salute mentale vengono discriminate e private della loro dignità, escluse dalla partecipazione alla vita sociale e politica delle comunità in cui vivono e dal diritto di decidere delle proprie vite e delle cure necessarie’’.
Secondo Mattarella, “le disfunzioni mentali sono circondate da un silenzio frutto del pregiudizio, e questo non fa altro che alimentare il disagio. Sono rischi che interpellano un numero crescente di adolescenti e giovani, già messi a dura prova dalla crisi della pandemia e dall’affacciarsi in Europa dei conflitti armati degli ultimi anni’’. Il presidente della Repubblica conclude: “È responsabilità comune promuovere politiche di prevenzione, di presa in carico precoce, inclusione e sostegno, fornendo ai ragazzi gli strumenti per crescere in Salute e alle loro famiglie il giusto supporto. Godere di una buona Salute mentale è condizione per esercitare liberamente i diritti fondamentali della persona”. Proprio il ministro della Salute Schillaci lancia un monito: “Inclusività, accessibilità ed equità sono le leve su cui agire. Proprio l’inclusione nella società può rappresentare uno degli ostacoli principali per chi soffre di problemi legati alla salute mentale’’. Schillaci è convinto vadano “combattuti ogni giorno, anche a livello culturale, lo stigma e la discriminazione che continuano ad essere una barriera sia all’inclusione sociale – in particolare all’istruzione e ai luoghi di lavoro – quanto all’accesso a cure adeguate”.
Qualche numero sulla salute mentale
Stando ai dati forniti dall’Oms, nel mondo una persona su 8 vive una situazione mentale tale da poter rischiare di avere impatti negativi sulla salute fisica, sul benessere, sulle modalità di interazione con gli altri e anche sulla possibilità di avere reddito. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, sul social network “X’’ (ex Twitter) scrive: Una persona su 8 vive con un problema di salute mentale. Eppure, troppe persone non possono accedere a cure di qualità. Nella Giornata mondiale della salute mentale l’Oms chiede che venga rispettata come diritto umano: non c’è salute senza salute mentale”.
1 in 8 people live with a #mentalhealth condition. Yet, far too many people cannot access quality mental health care.
On #WorldMentalHealthDay, @WHO calls for mental health to be respected as a human right.
There is no health without mental health. pic.twitter.com/c4RRPPwQeP
— Tedros Adhanom Ghebreyesus (@DrTedros) October 10, 2023
Tra le maggiori preoccupazioni esternate dall’Organizzazione mondiale della sanità, quello del crescente numero di giovani e adolescenti invischiati nella problematica. La maggior parte delle 800.000 persone che muoiono ogni anno per suicidio sono giovani e il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i ragazzi fra i 15 e i 19 anni.
La stessa Oms parla di un incremento del 25 per cento dei disturbi emotivi comuni, in particolare ansia e depressione. Dopo l’emergenza della pandemia, l’ansia è aumentata di un ulteriore 10%. Un’altra ricerca, condotta questa volta dall’università degli Studi di Milano-Bicocca e dall’Università del Surrey (Regno Unito), dà il quadro sulla depressione e sull’ansia diffuse tra i giovani accademici. Le forme lievi e moderate di ansia interessano circa il 20% dei giovani universitari, con ripercussioni sul loro andamento negli studi, su cui incidono anche l’eccessiva solitudine e le tante ore passate online. I sintomi di ansia generalizzata e sociale sono da ricondurre, per il 67%, agli effetti negativi più diffusi della pandemia.
Altri dati arrivano a margine dell’evento “Socialized Minds – la salute mentale giovanile nell’era dei social”, organizzato dall’università Milano-Bicocca e da Janssen, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson. Stando a una ricerca Ipsos su un campione rappresentativo della popolazione adulta, l’87% degli intervistati ritiene una priorità la salute mentale. A ciò va aggiunto un altro numero significativo: 4 italiani su 10 non si sentono soddisfatti della propria condizione mentale e 1 italiano su 3 ritiene la propria salute a rischio rispetto a prima della pandemia. L’incidenza maggiore si registra fra le donne, il 42% rispetto al 31% degli uomini e tra i giovani, i 42% circa nelle fasce 18-45 anni rispetto al 32% di quelle tra i 46 e i 75 anni.
Sanità inadeguata
Da sempre il tema dei metodi e dell’efficacia delle cure della salute mentale all’interno delle strutture mediche divide. Rispetto alla questione, riportiamo due testimonianze da Napoli di familiari di persone con fragilità mentali. I parenti denunciano come, a proprio dire, l’approccio dei medici negli ospedali a cui si sono rivolti non avrebbero portato a miglioramenti. Giuliana Casarsa, mamma di una donna di 53 anni a cui i medici hanno diagnosticato disturbi da schizofrenia e che vive in casa con lei, è estremamente critica. “L’attenzione alla salute mentale la diamo solo noi, dalla sanità campana (competente per il caso della figlia di Giuliana, vista la sua residenza a Napoli, ndr.) non c’è nessun aiuto’’. Giuliana non risparmia invettive verso il metodo sanitario utilizzato per curare sua figlia. “L’ultima volta che mia figlia ha visto la sua psichiatra è stata nel marzo 2023 poi più nulla. Il ricovero al Vecchio Policlinico (l’ospedale di piazza Miraglia in pieno centro storico che fa riferimento all’Università Vanvitelli ndr.) è stato negativo. L’hanno riempita di medicinali ed è riuscita a uscire solo dopo un intervento di un giudice tutelare a cui mi sono rivolta’’.
Giuliana rincara la dose. “Al Vecchio Policlinico mia figlia è entrata la prima volta a 25 anni che era normale ed è uscita piena di problemi, con la bava alla bocca e senza più lucidità. Di recente è stata per un mese continuo sempre al Vecchio Policlinico, non c’era neanche bisogno perché non era un Tso. Qui sembra un manicomio, anzi un carcere. Quando gli psichiatri e gli specialisti non sanno più che dire, dicono che c’è la schizofrenia. A mia figlia hanno fottuto la vita’’. Secondo Giuliana, la figlia “più sta lontana dall’Asl, dalle strutture mediche e meglio è. Molti medici sono talmente insicuri della propria scienza che sono rigidi’’. Non solo: “Vogliono che le persone siano tutte uguali. tutti quanti a dormire e così i pazienti stanno meglio, chiusi in casa, nessuna socialità’’.
Giuliana non ha più la potestà di sua figlia e questo a seguito di un episodio a dir poco inquietante raccontato da lei stessa. “Mia figlia è stata all’ospedale San Gennaro (altro storico nosocomio di Napoli, ndr.) ed è stata picchiata nella struttura psichiatrica. La polizia ha sempre dato ragione ai medici, come sempre, perché i familiari partono sempre svantaggiati. Io, in modo anche duro, ho chiesto spiegazioni, che non mi sono state fornite. Per questo motivo mi hanno tolto la Patria Potestà, ancora oggi è così. Solo per aver fatto caos e aver chiesto spiegazioni’’. Giuliana poi fa una digressione in generale sulla psichiatria. “Per me – dice – non dovrebbe proprio esistere, ognuno è normale come vuole. Queste persone dovrebbero essere inserite nel mondo lavorativo, altrimenti non migliorano mai. I corsi di ceramica, di disegno, non bastano. Mia figlia rifiuta anche l’abbonamento dove sta scritto che è invalida, quindi vuol dire che ha una testa pensante’’. Ma vista la propria condizione, la vita sociale è praticamente impossibile. “Attorno a lei si fa il vuoto dai parenti, amici, dopo aver preso i medicinali. Ora sta a casa, mangia e fuma ed è ingrassata tantissimo. Non è così che, a mio parere, deve essere affrontata la salute mentale’’.
Viviana Cozzolino, presidente dell’associazione Felicemente attiva nel Napoletano, vive in famiglia un caso simile. Suo fratello, di 60 anni, ha anch’egli delle fragilità. Pure Viviana non è soddisfatta di come si operi nel campo della salute mentale. Anzitutto, afferma, “a mio fratello hanno dato diverse diagnosi: disturbi affettivi, poi bipolarismo. Nessuno ha dato una conclusione chiara. So solo che quando non prendeva troppi psicofarmaci, stava meglio’’. Anche per Viviana uno dei problemi per queste persone con disturbi psichici, è rappresentato dalla inoccupazione. “Tutti i ragazzi che erano inoccupati hanno avuto problemi di disagio. Specialmente al Sud, non c’è nulla per loro che li possa far reintegrare nella società. Al Centro-Nord si fa teatro, si fanno laboratori mentre nel Mezzogiorno tutto questo spesso manca. E lo dico perché mio fratello ha girato diverse strutture sanitarie mentre altre hanno detto di non avere neppure un posto’’. In altri casi invece, c’è stata confusione tra le patologie tra pazienti poi messi negli stessi luoghi di cura. Ancora Viviana: “Hanno associato mio fratello a una struttura psichiatrica di Sessa Aurunca (in provincia di Caserta, ndr.) a una persona che è stata in un manicomio criminale e che ha picchiato mio fratello solo perché non aveva la possibilità di dargli delle monete per il caffè. Se lo fanno uscire peggio di come è entrato, come si può salvare? Le Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, ndr) non funzionano e recuperare chi ha problemi mentali è quasi impossibile. Faremo una petizione per chiedere alle istituzioni un approccio diverso, che sia risolutivo’’.
Parola a psicologi e comitati
A margine di un presidio all’esterno del Vecchio Policlinico di piazza Miraglia, a Napoli, organizzato da Medicina Democratica, CollettivoVenti23, dal Comitato di lotta per la salute mentale e da altre realtà territoriali, Antonio Mancini, psichiatra ora in pensione, denuncia quanto accade in Campania. “I servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura a Napoli sono stati ridotti da 10 a 5 a Napoli. Il numero dei medici, di infermieri, assistenti sociali, psicologi e soprattutto i servizi domiciliari sono a scavallo tra due unità confinanti e questo va a discapito dell’efficienza”.
In città le Uoc (Unità operative complesse) sono cinque: 24, 31, 73, coincidente con i Quartieri di Chiaia, San Ferdinando, Posillipo e Isola di Capri Avvocata, Montecalvario, Pendino, Mercato, S.Giuseppe-Porto; Uoc 25 e 26, coincidente con i quartieri di Bagnoli-Fuorigrotta e Soccavo-Pianura; Uoc 27 e 28, che coincide con quartieri di Arenella e Vomero e Scampia-Piscinola-Chiaiano-Marianella; Uoc 29 e 30, coincidente con Quartieri di Stella S. Carlo all’Arena e Secondigliano, Miano e San Pietro a Patierno; Uoc 32 e 33, per Barra-San Giovanni-Ponticelli e San Lorenzo, Vicaria, Poggioreale.
Lo psicologo Maranta insiste: “Il servizio di diagnosi e cura non può essere scollegato al territorio di competenza, anche per la salute mentale. Se ciò accade, significa che i medici che non conoscono il paziente e lo tratteranno soltanto con i farmaci, uguale a come si tratta un infarto. Il peggioramento del paziente così è evidente. Quando ero in servizio e vedevo questo pericolo, ovviavo con la forza di volontà andando anche oltre l’orario previsto per la seduta’’.
Un’altra dichiarazione la rilascia – anonimamente, perché ancora in servizio e quindi decide di mettersi a riparo da eventuali azioni disciplinari – uno psichiatra dipendente dell’Asl Napoli 1 Centro. Il suo discorso è ad ampio raggio. “Un servizio di salute mentale può funzionare anche con pochi psicologi e psichiatri ma non con pochi infermieri. Si tratta di vita o di morte’’. Il professionista è consapevole che “le psicoanalisi vanno bene ma si tratta di solo assistenza di primo livello. Il segreto è andare a casa della gente da curare, con un servizio medico domiciliare vero. Se questo non esiste, allora si porta il paziente in una struttura intermedia residenziale e diluire le persone non sane mentalmente favorendo la demedicalizzazione. I farmaci sono importanti – prosegue lo psichiatra dell’Asl – ma ogni cosa deve essere fatta nelle dosi e nei contesti adeguati. Serve la terapia, la destigmatizzazione, ci sono tanti livelli di intervento che richiamano alle varie attribuzioni di responsabilità il governo, le Regioni, le singole Asl’’. Quindi la chiosa. “Se si mischiano competenze, si fa un’operazione di distrazione di massa a scapito del paziente, spesso rinchiusi nelle case dei loro familiari che sembrano veri e propri manicomi’’.
Enrico Beniamino De Notaris, nel 2011 è stato cofondatore a Napoli del comitato di lotta per la salute mentale. A suo dire “il sofferente psichico tende a chiudersi nei propri problemi. In molti sono pieni di medicine, fumano, mangiano, ingrassano. I nostri colleghi creano degli eserciti di zombie, devono prendere in mano la propria vita. I corsi di ceramica o altri laboratori non risolvono i problemi’’. In molte aziende sanitarie, aggiunge De Notaris, “se si guardano le piante organiche, mancano operatori sociali, psicologi, mediatori culturali”.