Si è conclusa l’undicesima edizione del Festival del giornalismo culturale 2023, tenutasi a Urbino dal 6 all’8 ottobre nella consueta cornice di Palazzo Ducale. Il festival, guidato dalla direttrice Lella Mazzoli e dal co-direttore Giorgio Zanchini, quest’anno si è interrogato sull’evoluzione della dieta mediatica, più orientata verso contenuti multimediali, dove didascalie, immagini, grafiche e notizie si combinano. Inevitabilmente, l’attenzione di giornalisti, scrittori e studiosi si è incentrata sul peso della rivoluzione culturale, se degno di ottimismo o di sfiducia, e, in secondo luogo, su come la formazione dei giovani e il loro approccio all’informazione, nonché alla letteratura, stia cambiando.

La prima serata di anteprima del festival, giovedì 5 ottobre, ha avuto come protagonista Napoli, raccontata sia dalla pellicola di compilazione di Elvira Notari, prima donna regista in Italia, sia dal libro “La Figlia del Vesuvio” di Emanuele Coen. Il film, che include scene di “Napoli sirena della canzone”, è tra i primi a sperimentare le sovraimpressioni, in linea con il modello francese delle avanguardie, ed è anche tra i primi a offrire immagini scandalose e volgari, almeno per l’epoca. Il libro, invece, che racconta la biografia della regista (di cui si avevano pochissime informazioni) emigrata dalla vicina a Salerno nell’allora capitale del cinema italiano, finisce per ripercorrere la storia dell’evoluzione cinematografica dal film muto a quello parlato.

Venerdì, il festival ha esordito con il tema dell’intelligenza artificiale e sulla sua capacità sostitutiva rispetto a certi compiti umani. Tra gli ospiti, Barbara Carfagna, giornalista e conduttrice televisiva, ha sottolineato come l’uomo non sia più l’agente dominante e come i sistemi generativi siano meno meccanici e sempre più autonomi. Interessante l’intervento di Marisandra Lizzi, giornalista e studiosa dell’innovazione tecnologica, che definendosi una tecno-consapevole ha chiarito l’urgenza di regolamentazioni sovranazionali per quelli che sono i software sovranazionali. E, dicendolo, ha posato l’accento sul potenziale ruolo da copilota dell’AI, capace di far guadagnare tempo prezioso all’uomo facilitandone un’esercitazione lenta. Quello su cui occorre prudenza, evidenzia con tono, è delegare l’output finale al sistema generativo perché si rischia di fornire una copia sfocata e mediocre della realtà. Sta a noi collaborare con l’AI senza entrarci in competizione.

La discussione è proseguita con la presentazione del libro di Giovanni Solimine, “Cervelli anfibi, orecchie e digitale”. Sul tema, Solimine, professore universitario e presidente Fondazione Strega, è entrato a gamba tesa specificando la peculiarità tutta umana di ricreare l’emozione e l’errore di cogliere nei cambiamenti solo quello che perdiamo. Ha concluso ragionando sulla lettura auditiva, favorita oggi dalla fruizione dei podcast e conciliabile con l’attenzione non più esclusiva a cui ci siamo abituati.

La prima giornata è terminata con la lettura di Cronache dal Paradiso, libro di Serena Dandini presentato con Giorgio Zanchini, noto conduttore televisivo e giornalista. La ricerca di un altrove assoluto per sopportare l’ostilità del presente si intreccia con il potere del ricordo dell’ultima generazione, di cui si sente parte, con memoria fai da te.

Ad aprire le danze nella giornata di sabato è stata Rosella Postorino, scrittrice classificatasi seconda al Premio Strega 2023 con “Mi limitavo ad amare te”. Alla domanda perché consiglierebbe di leggere alle nuove generazioni, evita risposte didascaliche e di infilarsi in dogmi scolastici: “Leggere è qualcosa di muscolare. Dovete provarlo, non posso dirvi che è bello, utile e giusto. Sarebbe inutile”. Riconosce poi nella lettura una rivendicazione umana vera, in tutta la sua scandalosità e indicibilità, come appiglio per consolarci da quelle paure e esperienze che scopriamo comuni a tutti. Comunità valoriale è quella che, precisa, condividiamo con gli altri e la lettura lo palesa.

Più tardi, Agnese Pini, la direttrice dei quotidiani editi dal gruppo Monrif (La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, Il Telegrafo e Quotidiano Nazionale), ha voluto energicamente separare i concetti di comunicazione e informazione, spesso confusi. Un twitt – spiega – non è informazione. Il giornale sa dare tanti spunti su tanti temi, ma il problema oggi della transizione digitale è che il feed dei social, dove ci informiamo maggiormente, ci mostra secondo un algoritmo solo le notizie che ci interessano. Esiste un serio problema di riconoscimento della completezza, ammonisce la Pini. Sulla stessa onda, si inserisce il dibattito successivo sull’approfondimento delle notizie e sul fine dell’informazione che spesso nasconde scopi commerciali o visioni politiche. È intervenuto, a proposito, il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii con una lectio in cui ha fotografato le tante differenze generazionali in merito all’approccio all’informazione. Se da un lato fa notare la differenza tra la carta e lo schermo, dove la prima attiva facoltà di carattere riflessivo, mentre il secondo lo fa con quelle di carattere emotivo. Dall’altro, propone di lavorare a un’intelligente commistione dei due diversi modelli considerando che la dieta mediatica giovanile scova notizie che sfuggono ai canali media tradizionali.

Domenica è stata l’occasione delle serie tv, analizzate per la loro incredibile ascesa e la forbice di audience rispetto ai film che però nell’estate di Barbenheimer hanno ritrovato un inatteso successo. A proposito si è espressa Chiara Checcaglini, dottoranda in Sociologia della Comunicazione e Scienze dello Spettacolo all’Università di Urbino, scongiurando l’addio ai film e puntualizzando che la storia dei consumi culturali è sempre andata per somma e mai per sostituzione.

“Lèggevo e rileggevo il libro, e scorrere il dito tra le pagine era la felicità”. È così che poi Michela Matteoli, la direttrice dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche, si è inserita nella riflessione collettiva con la sua lectio, terminandola con questa citazione di Murakami. Ma non è del tutto vero, come spiega, perché il problema di denavigabilità spaziale, cioè la perdita di localizzazione all’interno di un schermo, riguarda le vecchie generazioni ma non le nuove che hanno acquisito invece una plasticità cerebrale che rende l’apprendimento su device uguale al tradizionale.

Infine, l’incontro che ha avuto come tema la formazione del giornalista ha illustrato quello che deve comprendere il difficile mestiere dell’informazione. Non deve essere divulgazione, come sottolinea il podcaster di “Altri Orienti” Simone Pieranni, e deve conoscere il momento della tematizzazione, come dice Lucia Goracci, inviata del tg1 in Turchia. Un bravo giornalista, ammettono i relatori mediati dal noto scrittore e giornalista Paolo di Paolo, deve leggere tutto, quotidiani, settimanali, saggistica e letteratura.

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