Autore foto: Anna Abet

É una sera di ottobre, un gruppo di persone avanza lentamente verso l’ingresso del teatro Sannazaro. Dalle porte socchiuse arriva un fitto brusio di voci. Una maschera apre la porta, il gruppo entra, discende, svolta a sinistra ed ecco che appare una platea chiassosa e pullulante di giovani.

Il sipario è già alzato: sul palcoscenico si vede una panchina di legno, un leggio a destra ed uno a sinistra; in fondo, al centro, c’è un dispositivo elettronico concepito per l’esecuzione di suoni. Evidentemente in ritardo, due giovani entrano in sala,  gettano un’occhiata smarrita e si mettono a sedere vicino ad un gruppo di ragazzi che hanno tutta l’aria di essere studenti liceali.

Di punto in bianco compare un uomo con in mano una tromba, attraversa il palcoscenico a passo rapido e si mette a sedere vicino al dispositivo elettronico posto al centro della scena. La luce in sala si dissolve come fumo ed il chiasso della platea si trasforma in un assordante silenzio. Ognuno è al proprio posto.

Gli spettatori hanno gli occhi incollati su un secondo personaggio che fa il suo ingresso sul palcoscenico. Questi, un uomo sulla quarantina, prende a parlare con voce sommessa e camminando con passo cadenzato va a sedersi sulla panchina in legno. Da qui ha inizio ufficialmente “El Blues di Loi”, l’opera teatrale che omaggia “una delle personalità poetiche più potenti del secondo Novecento italiano: il poeta Franco Loi ”.

Un flusso di parole rimbomba nella sala e la musicalità delle parole pronunciate dall’uomo sulla quarantina ha il potere di evocare immagini oniriche. “La santità è come la poesia e si può essere con Dio ed essere lontani. E il nascere della parola è poesia” dice, come se, assorto nei suoi pensieri, stesse cercando di penetrare gli arcani della natura.

Poi sopraggiunge una musica dalla sonorità distorta che accompagna le parole del meditabondo, che all’improvviso si alza ed interrompe il suo monologo poiché fa il suo ingresso una donna bionda con un abito bianco. Ella cammina verso il centro della scena e prende a raccontare una storia, che è la storia del poeta Franco Loi, morto il 4 gennaio del 2021 all’età di 90 anni a Milano, città dove ha trascorso la sua vita.

La parlata milanese dell’attrice rende difficoltosa la comprensione del racconto, tuttavia è un modo di parlare avvincente che suscita curiosità nel pubblico: si parla di ‘Milan che fa malinconia’, di nebbia, di quanto è ‘bell el mund quan’vègn l’amour’, di ‘’na dòna stanca’ e di ‘òmm che van sarà nel setniment’.  Così i versi recitati da entrambi gli attori acquisiscono una forma di canto popolare e si ha l’impressione che i sentimenti siano espressi in una sorta lamento, proprio come avviene nel blues.

Al centro del discorso, espresso talvolta in dialetto milanese e talvolta in dialetto napoletano, c’è sempre la città di Milano e lo scorrere del tempo, nonché il ricordo di una storia d’amore.

Nei luoghi dei ricordi del poeta, tuttavia, non regnano soltanto i pensieri tristi. Di tanto in tanto si scorgono sprazzi di gioia e, quando si può, si balla sulle note di ‘Mambo n.5’ di Perez Prado. Verso la fine, però, il ritmo del racconto cambia bruscamente. I due attori sono in piedi con un’espressione triste. “Ma io non voglio che siano solo memoria gli uomini a cui ho voluto bene, le donne del cuore” dice lui. “E non posso pensare alla morte dentro al cuore”, aggiunge.

È chiaro che lo spettatore sta assistendo alla fine dello spettacolo. Il tono della voce, le mimiche facciali, i gesti, tutto lascia presagire che la vicenda culmina con un contrasto: è la morte, “quella brutta puttana che cerca sempre il posto”, che si scontra con il desiderio di vivere, di rimanere attaccati alla vita.

Così si riaccendono le luci in sala, ma il pubblico è inchiodato sulla poltrona, stordito per lo stupore. Uno spettacolo congegnato abilmente dal drammaturgo Igor Esposito e dal supervisore Peppino Mazzotta. Una performance teatrale che ha saputo trovare la sua massima espressione grazie agli attori in scena, Igor Esposito e Milvia Marigliano. Da non sottovalutare la presenza del trombettista Ciro Riccardi, che occupandosi della sonorizzazione ha saputo manipolare a regola d’arte le atmosfere dello spettacolo.

“La santità è come la poesia, si può essere con Dio ed essere lontani. E il nascere della parola è poesia”

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