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Oggi si celebra la giornata internazionale della violenza contro le donne. Una ricorrenza istituita nel 1999 dalle Nazioni Unite per sensibilizzare contro questo crimine di genere. I numeri nel corso degli anni, però, continuano a restituire un quadro sempre più drammatico.

Le scarpe rosse, le panchine rosse, i convegni, i premi: si sprecano in questa giornata le iniziative per le donne. Ma, spenti i riflettori, da 22 anni si torna a un realtà che si presenta ogni volta sempre più tragica. Dall’inizio del 2021 sono 109 le donne morte per il fatto di essere donne: l’8% in più rispetto allo scorso anno. Sono state uccise dal marito, dal compagno, o dall’ex, da uomini che non hanno accettato la fine della relazione, accecati dalla gelosia, o incapaci di controllare la rabbia, di gestire dei “no”.

L’ultima donna uccisa in Italia è Juana Cecilia Loayza, 34 anni, ammazzata venerdì a Reggio Emilia. Sono mediamente una ogni tre giorni, secondo il Viminale, le vittime di femminicidio nel nostro Paese: una guerra silenziosa. E i dati sono in salita, nonostante le campagne di sensibilizzazione, nonostante gli interventi legislativi. E, questo, solo si considerano gli omicidi. Poi ci sono le violenze e i vari modi in cui possono manifestarsi: dallo stalking, al revenge porn, lo stupro, le molestie sessuali. E se lo sguardo si allarga al resto del mondo, abbiamo le vittime di mutilazioni, le donne vittime delle angherie dei talebani, o di altri fondamentalismi religiosi, poi le spose bambine. E ci sono donne discriminate nella società per il fatto di essere donne: nello sviluppato Occidente molte sono vittime di sessismo, di disparità salariale rispetto ai colleghi maschi. Perché la questione è soprattutto culturale.

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ma dal 1999 cosa è cambiato in termini di politiche di intervento e prevenzione? Quanti sono i fondi investiti nel nostro Paese in questi ultimi 20 anni per i centri antiviolenza, per la formazione di professionisti in grado di supportare le donne che subiscono e gli uomini violenti? I fondi pubblici distribuiti sono stati ben utilizzati dai destinatari? E cosa ha fatto il nostro Paese per la parità di genere nel mondo del lavoro?…Perché è pur vero che ci sono realtà in cui molte donne continuano a subire violenze nell’ambito domestico perché lasciare il marito, compagno, significa restare senza un sostentamento.

Action Aid nei giorni scorsi ha pubblicato un rapporto che fornisce un’analisi dei fondi statali previsti dalla legge 119/2013, la legge sul femminicidio. Per esempio, il Dl Cura Italia del 2020 ha stanziato 3 milioni per le spese di sanificazione, per l’acquisto mascherine e di gel disinfettante per le case rifugio, ma “ad oggi – afferma l’organizzazione – solo l’1%, circa 25mila euro, sono arrivati a destinazione”. Si sono allungati, poi, i tempi per erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio le risorse stanziate nel 2020: “Sono serviti in media 7 mesi per trasferire le risorse dal Dipartimento Pari Opportunità alle Regioni. E ad oggi solo il 2% è stato erogato, e solo in Liguria e Umbria”.

E mentre le regioni non hanno ancora finito di erogare risorse del 2015-2016, e per il 2021 ancora nessuna risorsa è stata trasferita dal Dipartimento Pari Opportunità, si resta ancora in attesa del Piano Antiviolenza 2021-2023: “Lanciato in questi giorni, con un ritardo di quasi un anno, non è accompagnato da un piano operativo con tempistiche chiare e verificabili”, dice Action Aid, che parla di “scenario desolante”.

“Non bastano le buone intenzioni, è necessario assicurare che misure di prevenzione, protezione e contrasto alla violenza maschile sulle donne siano incluse nelle principali norme, riforme e decisioni di spesa che regolano la vita del Paese. E invece le politiche antiviolenza continuano ad essere isolate, frammentarie. Lo vediamo anche nel PNRR, dove i grandi assenti sono la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne” spiega Katia Scannavini, Vice Segretaria Generale ActionAid.

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