Un’estenuante traversata a piedi verso il confine romeno, con figli e madre a seguito, durata una settimana. A rinfocolare la forza delle loro gambe, unicamente il desiderio di non soccombere agli attacchi dell’esercito russo. Natalia e Halyna sono due sorelle ucraine di circa 40 anni fuggite da Chotin, cittadina a 60 km da Leopoli, sul fiume Nistro, che guarda alle terre di Romania e Moldavia.

Da tre settimane sono a Salerno, dove sono giunte in pullman. Sono ospiti, insieme a madre e figli, dell’altra sorella già in Italia, sposata con Antonio Noschese, un barbiere che si trasforma per noi nel narratore dell’epopea delle due donne incontrate all’esterno del consolato ucraino del Centro Direzionale di Napoli.

“Tutti loro sono scossi, al pari di mia moglie, dalle notizie e dalle immagini dei massacri dei civili in Ucraina diffusesi in questi giorni. I bombardamenti dei russi non si fermano, per loro è dura pensare a cosa stia accadendo oggi nel Paese”. Sgombra subito il campo dagli equivoci Antonio.

Al pari dei quasi 20.000 ucraini, di cui moltissimi bambini, Natalia e Halyna oggi sul territorio campano devono registrare la propria posizione documentale. A rendere più difficoltosa l’organizzazione della nuova vita, la mancata conoscenza della lingua italiana e dell’inglese. Ecco perché a ogni spostamento c’è Antonio a orientarle.

La fila all’esterno del Consolato dura almeno un’ora, ma non sarà l’unica: dovranno tornare al Centro Direzionale nei prossimi giorni per completare tutti gli adempimenti burocratici. Il presente, intanto, è fatto dalla sofferenza nel cuore per il deflagrare del conflitto in Ucraina e dalla speranza di ricominciare a vivere grazie all’accoglienza in Italia.

“Dopo aver camminato per 6 giorni e 6 notti, Halyna e Natalia hanno atteso altri due giorni in Romania prima di poter partire per raggiungerci a Salerno, è stato un altro lungo tragitto, ma finalmente oggi sono in salvo”, aggiunge Antonio. Abbandonare un Paese in guerra significa lasciare la propria esistenza precedente, i propri affetti, che chissà quando e se si potranno rivedere.

Halyna è madre di un ragazzo di 16 anni, una ragazza di 14 e una bambina di appena 2 accuditi da sola. “Suo marito – afferma Antonio – è rimasto al fronte in Ucraina a combattere, rispondendo alla chiamata alle armi del Governo. Si tratta di un momento veramente triste”. Natalia, invece, lavorava come impiegata in un negozio di alimentari a Chotin, chiuso non appena è scoppiato il conflitto, lo scorso 24 febbraio. Con lei dinanzi al Consolato c’è Irina, sua figlia di 12 anni che deve necessariamente rinnovare i documenti per poter accedere a tutta una serie di servizi. Anche lei è in Italia senza il marito, attualmente in Germania a lavorare come muratore.

Non è tutto, però. “In Ucraina ho anche un nipote di 21 anni che fa il poliziotto e non ha nemmeno un giubbotto antiproiettile e noi non riusciamo a inviarne uno. Vi rendete conto? I russi sparano e gli ucraini non sanno come difendersi”, si rammarica Antonio Noschese, consapevole come in questo momento l’unico modo per fermare il suono degli spari sia difendersi con le armi, mentre il fronte diplomatico su un cessate il fuoco arranca.

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