Gualtieri, Guastalla, Luzzara, Boretto. Quattro comuni coinvolti, 14 giorni di incontri. Laboratori, balli, musica, spettacoli, cultura, partecipazione. Giornate ricche di eventi che si sono sviluppate lungo il Po, nella Bassa Reggiana, in quel territorio che si estende per circa 10 chilometri lungo la sponda destra del fiume e che i reggiani chiamano più semplicemente “la Bassa”. Nella natura o nei centri culturali dal 5 giugno ha preso vita il Festival Ubuntu, un festival dell’intercultura e dell’inclusione in un’area dove la comunità di stranieri è molto ampia e ogni giorno ci sono associazioni impegnate affinché possa essere garantito a tutti l’inserimento nella società, come “Un bambino per amico”, che ha organizzato il festival con Anffas Guastalla Onlus, Anteas, Acat, GRD, Comitato Rubacuori e S.o.s. mamma Onlus.

Siamo arrivati quando il festival era già iniziato. In una afosa mattinata abbiamo raggiunto l’ostello sul Po che ci ha ospitato. Monica Righini con il suo Doblò carico di volantini e locandine ci ha portato subito a Gualtieri, dove era in programma la partenza di un’escursione in canoa. Monica è un’insegnante oltre che una volontaria, ed è il perno del festival. Ad aspettarla c’erano una decina di ragazzi, alcuni dei tanti che hanno partecipato alle iniziative in programma, recitando, danzando, esprimendo il proprio punto di vista sulle questioni affrontate durante il “viaggio” Ubuntu. Tra i giovani, alcuni gestiscono il bazar Ubuntu, un bazar dove è possibile donare e prendere degli indumenti per ogni età, ma anche accessori e oggettistica di vario genere. Nel mercatino allestito nella casa delle associazioni è tutto in ordine, diviso per taglie e tipologia di prodotto. “Abbiamo dovuto fissare un prezzo di vendita simbolico di 50 centesimi per scoraggiare business che sfuggono alle nostre intenzioni”, ha spiegato Monica nel raccontare il progetto.

I bambini, i ragazzi, sono stati al centro di molte delle attività del festival, hanno avuto la possibilità di partecipare ai laboratori di fotografia con Mohamed Keita, ai laboratori di scrittura creativa con Judicael Ouango, ai laboratori di danza e percussioni con Afrodanzanzalo. Sono stati premiati per gli scritti presentati al concorso letterario indetto dal festival con le scuole.

Nessuna passerella politica, nonostante il supporto fornito dalla Regione Emilia Romagna. Nessuna vetrina per sponsor. Al centro degli eventi sono rimaste le persone, che ad ogni occasione hanno avuto la possibilità di confrontarsi, di raccontare se stesse e le proprie esperienze. Come a casa. Un festival senza fronzoli, in un contesto valorizzato dagli eventi in programma. L’Ubuntubike con le performances artistiche sulla pista ciclabile da Boretto a Luzzara e le escursioni in canoa hanno permesso di apprezzare il Po e la vita del fiume. Eventi come l’incontro con Valerio Gardoni, che ha raccontato le foto scattate nei suoi reportage in giro per il mondo, hanno permesso di conoscere Casot Belusel. “Qui un tempo si fermavano per rifocillarsi coloro che si spostavano lungo le sponde del Po”, ci spiegano.

Diversi gli attivisti intervenuti nei 14 giorni di festival. Da Ivan Sagnet di “No cap”, a John Mpaliza, a Ejaz Ahmad, che prima di parlare al pubblico della “cultura dell’intercultura”, seduto a un tavolo davanti a un piatto di riso ci ha raccontato la comunità pakistana per cui lotta da quando è arrivato a Roma circa 30 anni fa, e lo ha fatto in un territorio ancora sconvolto dall’uccisione di Saman Abbas, la ragazza di 18 anni ammazzata nel 2021 per essersi rifiutata di sposare un cugino.

“La cosa bella è stata la squadra!”, è stato il commento di un bambino sul festival. “Credo che con un inizio così non si potrà far altro che continuare. Ma questa è solo una mia opinione personale e da soli non si va da nessuna parte e, soprattutto, non si mette in pratica l’ubuntu! E allora facciamo che diventi contagioso e contamini di umanità ognuno di noi”, scrive sulla pagina social del festival uno degli organizzatori, a conclusione delle due settimane di iniziative.

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