Prevenzione, comunicazione e la consapevolezza che rispetto ai primi anni la malattia può essere gestita a patto di una precoce diagnosi. È questo il messaggio di medici e associazioni arrivato in occasione della giornata internazionale contro l’Aids, che si celebra ogni anno il 1° dicembre.
La malattia fu riconosciuta per la prima volta il 5 giugno del 1981 in America quando 5 uomini omosessuali americani si ammalarono di una polmonite che apparve sospetta ai medici. Da allora, e con 40 milioni di morti accertati in tutto il mondo secondo alcune organizzazioni internazionali, ne è passata di acqua sotto i ponti rispetto al contrasto all’Aids che, va ricordato – per smontare una falsa convinzione – non colpisce solo gli omosessuali ma anche eterosessuali soggetti a rapporti non protetti.
Qualche numero italiano
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, nel 2021 in Italia sono state diagnosticate 1779 infezioni da Hiv. La fascia maggiormente a rischio è quella compresa tra i 30 e i 39 anni, soprattutto maschile. Meno test effettuano invece le donne, anche della stessa fascia d’età, perché considerate (erroneamente molto spesso) non così esposte al pericolo di contrarre il virus. A causa della pandemia da Coronavirus, che ha imperversato soprattutto negli anni 2020 e 2021, molte infezioni non sono emerse: un elemento negativo che si somma alla paura e alla vergogna di effettuare il test e scoprirsi, nel caso, infetti. Ciò accade soprattutto nella generazione dei 40enni, in particolare tra le persone gay, giovani quando il coraggio di fare coming out era meno diffuso di oggi tra i giovani.
I test gratuiti
In occasione del 1° dicembre anche in Italia sono stati tanti i momenti di sensibilizzazione rispetto alla questione Hiv. In alcune piazze, medici specialisti hanno effettuato test gratuiti a chiunque lo volesse: tramite il prelievo di due goccioline di sangue e l’utilizzo di un reagente si è permesso in pochi minuti di conoscere la positività o negatività al virus.
Viviana Rizzo, responsabile gruppo salute Antinoo Arcigay Napoli e medico infettivologo del Cotugno, il nosocomio appartenente all’Azienda dei Colli del capoluogo partenopeo dove si prendono in cura il 70% dei casi della Campania, a margine dell’iniziativa organizzata da Antinoo Arcigay Napoli denominata “Pizza &Test’’ (pizza offerta dal noto pizzaiolo Gino Sorbillo a tutti coloro che si sono sottoposti alle verifiche mediche) che ha preso tutta la giornata del 1 dicembre in piazza San Domenico, nel centro cittadino, sottolinea: “Va contrastato uno stigma che ancora permane. L’infezione da Hiv è quella che più di tutte le patologie porta ad atteggiamenti di rifiuto sociale e di maltrattamento verso un soggetto positivo. All’inizio, la malattia dell’Hiv veniva definito il ‘cancro dei gay’ “. Solo dopo, aggiunge Rizzo,” si è capito che la trasmissione, avvenendo molto spesso per via sessuale, può riguardare tutti quelli che hanno un rapporto non protetto, eterosessuali compresi. Bisogna puntare sulla prevenzione e anche le varie associazioni devono essere più incisive nel dare informazioni corrette”.
Annamaria Rossomando, anche lei medico volontario di Arcigay Napoli e del Cotugno, esprime un rammarico: “I non infettivologi è come se non volessero avere a che fare con questa malattia. Per tale motivo noi siamo costretti a curare quelle patologie correlate all’Hiv, che magari devono subire operazioni di altro genere. Ma oggi, dopo oltre 40 anni dalla scoperta della malattia, l’Hiv si può curare e si può avere una vita normale”.
Lunga l’esperienza nei reparti di infettivologia degli ospedali quella maturata da Francesco Maria Fusco: ora è al Cotugno di Napoli, per 15 anni ha lavorato allo Spallanzani di Roma, specializzato nella cura delle malattie infettive. Il medico ha notato la differenza di organizzazione tra le due strutture sanitarie di Roma e Napoli, cosa che di certo non giova in nome della battaglia unitaria all’Aids. “Stiamo cercando di svecchiare l’approccio stesso al Cotugno. Allo Spallanzani era più smart, forse per motivi organizzativi e culturali. Oramai il test è un atto di tutela verso tutti. L’Hiv, attraverso una diagnosi precoce, può consentire una vita lunga, di qualità, e anche avendo rapporti sessuali”. Esperto in materia, Fusco non può però nascondere i progressi, anche culturali, di questi anni. “Fino a vent’anni fa un test dell’Hiv veniva fatto di nascosto, era una cosa della quale vergognarsi. Adesso la comunicazione è cambiata ed è giusto dire a tutti che si è fatto il test e di far sapere il risultato. Gli approcci sono due: in ospedale, con un approccio a bassa soglia. Oppure attraverso il coinvolgimento delle associazioni con presidi e checkpoint in strada”.
A Tell parla Giuseppe, 53enne napoletano dipendente di una compagnia aerea. Per tanti anni ha vissuto in Inghilterra, da un anno è di nuovo in Italia. Anche lui si è sottoposto al test in occasione della giornata mondiale del 1° dicembre. “Personalmente sono molto informato sulle malattie sessualmente trasmissibili nel mondo Lgbt, di cui faccio parte. Sono abituato a fare 2-3 test all’anno e ho notato che in Italia è molto più difficile testarsi, anche in anonimato. Bisogna venire in posti ad hoc e la trafila negli ospedali è complicata. Qui mancano ancora i servizi di base”. Discorso diverso in Inghilterra. “Lì ci sono delle cliniche specializzate per malattie sessuali: dalla sifilide all’Hiv. Io – le parole di Giuseppe – ricordo bene il momento in cui si è venuto a sapere che esistesse questa malattia, sono della generazione che ha vissuto il periodo in cui si moriva e anche io ho perso diversi amici a causa dell’Aids. Per tale motivo mi sono sempre informato, in Inghilterra ho fatto il volontario in organizzazioni che si occupavano di assistenza ad ammalati di Aids o di dare supporto emotivo a chi è positivo. Oggi non ce ne sono più tante perché è diminuito il rischio di morte. Informarsi però è sempre importante”.
Più tranquilla rispetto ai test precedenti è Arianna, che abita a Milano. Sempre al nostro giornale, la donna afferma: “L’anno scorso ho avuto un periodo libertino e ho dunque ho deciso di effettuare nuovamente il test. La prima volta avevo più preoccupazione perché non mi ero protetta, ora sono più serena avendo comunque da allora sempre lo stesso compagno. Essendo gratis ne ho approfittato. Io ho una famiglia molto arcobaleno e quindi sulla questione la conoscenza c’è”, conclude Arianna.