La latitanza di Matteo Messina Denaro, boss mafioso di Castelvetrano, nel Trapanese, è finita dopo trent’anni di ricerche, protezioni, connivenze. La primula rossa di Cosa Nostra, cresciuta sotto l’ala protettrice di Salvatore Riina, il capomafia di Corleone regista della stagione stragista catturato proprio nel 1993 il 15 gennaio (un giorno di distanza), è stata catturata ieri mattina nei pressi della clinica La Maddalena, a Palermo.


Messina Denaro, nato il 26 aprile del 1962, è stato intercettato e bloccato dai carabinieri del Ros e del Gis, che da tempo indagavano su di lui, mentre si accingeva ad entrare nella struttura medica per delle cure oncologiche a cui si sottoponeva da un anno. Ad accompagnarlo lì Giovanni Luppino, commerciante di olive tratto anche lui in arresto nel corso dell’operazione salutata dall’applauso delle persone presenti.

Il boss non ha opposto resistenza e ai militari dell’Arma ha risposto: “Sono Matteo Messina Denaro”. L’ormai ex latitante circolava con un documento falso con il nome di Andrea Bonafede, uomo residente nella provincia di Trapani e sottoposto anche lui ad alcuni controlli medici e interventi. Messina Denaro, su cui pendevano alcune condanne all’ergastolo per le stragi e le morti non solo in Sicilia ma in diverse parti d’Italia, sconterà la pena al 41 bis e le sue condizioni di salute sono state ritenute compatibili con il carcere.

I dettagli dell’operazione

In una conferenza stampa presso il Comando Legione Carabinieri di Sicilia, tenuta nel pomeriggio di ieri, sono stati forniti alcuni dettagli dell’operazione che ha portato alla cattura di Matteo Messina Denaro. “Siamo molto orgogliosi del lavoro di questa mattina, che conclude lavoro lungo e complicatissimo da parte di tutte le forze dell’ordine di tutta Italia: abbiamo catturato l’ultimo stragista del periodo ’92-’93: un debito che la Repubblica aveva verso le vittime di quegli anni che almeno in parte è stato saldato”. A dirlo ai giornalisti il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, confermando come Matteo Messina Denaro – capo dell’area trapanese di Cosa Nostra, ma non di tutta l’organizzazione, come è stato ribadito durante l’incontro con i giornalisti – abbia “goduto di protezioni importanti e le indagini ora sono concentrate sulle protezioni attuali di cui ha goduto”, e che sino alla cattura di oggi non si sapeva quale “aspetto avesse” il boss di Castelvetrano.

Il boss “finora non parla non ha dato indicazioni, dopodiché fino a stamattina non sapevamo neanche che faccia avesse. La cosa più importante in questo momento è la cattura. Abbiamo controllato i documenti e lì lo abbiamo visto per la prima volta” le parole del procuratore capo di Palermo. Per Maurizio De Lucia “senza intercettazioni non si possono fare indagini di mafia. Questa è stata una indagine basata su spunti e approfondimenti investigativi, senza l’apporto di collaboratori di giustizia o soffiate anonime”. Secondo il procuratore capo “anche la reazione della gente è un segnale importante in una città come questa. Non c’è dubbio che lui abbia goduto di protezioni in passato, noi stiamo indagando sulle protezioni di adesso. C’è una sorta di borghesia mafiosa che certamente lo ha aiutato, su questo sono in corso le nostre indagini”.

A prendere la parola nel corso della conferenza stampa alla Procura di Palermo anche il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto. “Dopo un percorso investigativo durato molti anni – le sue parole – nell’ultimo periodo abbiamo acquisito elementi legati alla salute del latitante e al fatto che stesse frequentando una struttura sanitaria per curare la sua malattia”. Il “lavoro è stato caratterizzato da rapidità, riservatezza, e dal modo che ci ha consentito in poche settimane gli elementi per individuare una data, quella di oggi, in cui Messina Denaro si sarebbe sottoposto ad accertamenti”. Il comandante Angelosanto ha sottolineato come la cattura sia stata possibile grazie a un “lavoro corale che si è svolto nel tempo, che si è basato sul sacrificio dei carabinieri in tanti anni. L’ultimo periodo, quello delle feste natalizie, – ha aggiunto – i nostri lo hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi che ogni giorno si arricchivano sempre di più e venivano comunicati. La Procura era aperta anche all’antivigilia, è stato uno sforzo corale”.

Poi altri dettagli sull’operazione da parte del comandante del Ros: “La certezza è arrivata solo stamattina. Questa mattina avevamo predisposto un servizio che è stato poi attivato quando abbiamo avuto contezza che c’era stato l’accesso alla struttura sanitaria di quel soggetto che pensavamo potesse essere il latitante. Era ipotizzabile anche un errore nella valutazione fatta, per cui ci eravamo riservati la possibilità senza esporci di poter continuare nell’investigazione”. Il procuratore aggiunto Paolo Guido ha detto, nel corso del suo intervento: “Non abbiamo trovato un uomo distrutto, ma un uomo in buona salute, ben curato, in linea con il profilo di un uomo 60 anni”. Messina Denaro aveva al polso un orologio da 30.000 euro.

Le parole del presidente del Consiglio

Qualche ora dopo l’arresto, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è recata a Palermo per congratularsi con chi ha condotto l’operazione e rendere omaggio al monumento di Capaci che ricorda il giudice Giovanni Falcone e gli agenti della scorta. “Oggi è una giornata di festa: non abbiamo vinto una guerra, ma sicuramente una battaglia fondamentale”. L’arresto di Messina Denaro per la premier è “un segnale importante, straordinario di presenza, perché è il terreno fertile che devi togliere alla criminalità organizzata e quello lo fai solo con il lavoro. Se alla fine è stato trovato – ha aggiunto – vuol dire che c’era uno Stato che continuava a lavorare. Ora spero che qualche cosa di più possa uscire con chi ha collaborato. Questa è una battaglia che dobbiamo fare tutti insieme. Lo stato deve sostenere concretamente chi si occupa di questo, spero che si sia disposti a lavorarci insieme”. Poi, rivolta ai Ros e al Procuratore Capo di Palermo, ha affermato: “Ci avete regalato una grande giornata. Siamo entusiasti, fieri. Siamo convinti che queste giornate vadano celebrate. Lo Stato c’è, combatte, vince. Se non fosse per la dedizione del vostro lavoro, che è un lavoro silenzioso del quale non si ha contezza nella quotidianità dei cittadini, questi risultati non arriverebbero. A nome del governo e dell’Italia voglio ringraziarvi. Noi – l’ulteriore aggiunta – ricordiamo sempre le vittime, gli eroi che hanno perso la vita a causa della criminalità organizzata e ricordiamo forse non con la stessa attenzione quelli che tutta la vita l’hanno spesa per raggiungere questi risultati e credo che anche il segnale della presenza qui è semplicemente per dire grazie a nome del governo per questa incredibile giornata e grazie per le persone che voi rappresentate e che non sono qui, e che hanno lavorato con voi perché questo obiettivo storico fosse raggiunto. L’Italia è fiera di voi e vi ringrazia davvero”.

Il profilo

Matteo Messina Denaro, figlio del boss di Trapani Francesco Messina Denaro, era latitante dal 1993. E’ ritenuto responsabile di vari omicidi tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido perché figlio di un pentito di mafia, Mario Santo Di Matteo. Si ritiene che abbia avuto un ruolo nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio del maggio e luglio 1992, quando furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e gli agenti della loro scorta. È ritenuto responsabile anche delle stragi di Roma (via Fauro e le autobombe a San Giovanni Laterano e San Giorgio in Velabro) Firenze (via dei Georgofili) e Milano (via Palestro) del 1993, che causarono morti, feriti e distruzioni in luoghi d’arte e storici delle tre città. Proprio dall’estate del 1993 si rese latitante.

Ritenuto vicino ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, i fratelli Graviano a chi era il capo di Cosa Nostra sin dalla fine degli anni ’70 e inizio degli anni ’80: Salvatore Riina e Bernardo Provenzano che ne prese il posto dopo l’arresto del ’93, Messina Denaro fu condannato in contumacia nel 2000 all’ergastolo nell’ambito del processo Omega. Una latitanza, quello del boss di Castelvetrano, amante della bella vita e latin lover, fatta appunto di protezioni, connivenze a più livelli che gli hanno consentito di continuare a guadagnare ricchezze con gli appalti ed essere l’indiscusso capo di Cosa Nostra nell’area trapanese. Sino alla cattura, ieri, nella clinica La Maddalena di Palermo.

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