Lo stupro di gruppo subito denunciato da una 19enne di Palermo. Una violenza simile che sarebbe avvenuta nella cittadina a Nord di Napoli, a Caivano, ai danni di due ragazzine, cugine in età preadolescenziale che sarebbero state abusate da diversi adolescenti. E poi l’uccisione lo scorso 31 agosto a Napoli del 24enne Giovanbattista Cutolo, il musicista sparato tre volte da un 17enne all’esterno di un pub in piazza Municipio, a Napoli, dopo una lite per futili motivi. L’estate appena trascorsa ha mostrato ancora una volta come in Italia esista un problema drammatico di violenza giovanile.

I casi citati hanno indignato parte dell’opinione pubblica, con molti che chiedono insistentemente pene severe anche per gli adolescenti. Cosa si è fatto fino ad oggi per contrastare la violenza giovanile? Non è bastato? E’ quello che ci siamo chiesti. Abbiamo provato a ricercare delle risposte anche in chi ci lavora nell’ambito della giustizia minorile e in una mamma che ha lottato per anni dopo essersi trovata con un figlio vittima di una brutale aggressione senza alcuna spiegazione.

Il Consiglio dei Ministri del Governo di Giorgia Meloni, intanto, ha deciso di intervenire con alcune norme sulla devianza giovanile con Decreto Legge denominato proprio “Dl Caivano”. Approvato nel pomeriggio del 7 settembre, l’impianto è stato presentato in conferenza stampa dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni e diversi ministri del suo Esecutivo. La premier, in visita il 31 agosto (giorno dell’omicidio di Giovanbattista) proprio a Caivano, promise una “bonifica radicale’’.

Le nuove misure

Tra le misure approvate: rischio del carcere sino ai 2 anni per quei genitori che non si curano di mandare i figli a scuola; ammonimento del questore per i minori tra i 12 e i 14 anni per reati gravi – il riferimento è ad esempio a quello sul bullismo – e una convocazione dei genitori che possono incappare in una ammenda per mancata di vigilanza sui minori. Il questore – è stato spiegato in conferenza stampa dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi – “può proporre il divieto dell’uso dei cellulari’’ ai giovanissimi. Nel Dl è previsto il Daspo urbano, anche senza querela o denuncia, per i 14enni coinvolti in risse, violenze, minacce. In sostanza, ha spiegato lo stesso Piantedosi, per Daspo va inteso “l’allontanamento da alcune zone della città per chi è responsabile di comportamenti che aggravano il disordine urbano. Sarà valido anche per minorenni ultra 14enni’’. Inoltre, “si interviene anche sull’altro provvedimento del Daspo per l’uso di stupefacenti, con l’allontanamento dalla frequentazione di certi luoghi, sedi universitarie, scuole, locali pubblici, ampliando anche la platea dei reati’’ a quelli di “semplice detenzione di sostanze stupefacenti’’ e un “inasprimento verso spaccio di stupefacenti di lieve entità per minori, sempre ultra 14enni”.

Al contrario dell’idea che era circolata alla vigilia dell’approvazione del provvedimento – ha precisato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in conferenza stampa – “non si è intervenuto sulla imputabilità del minore”: “Abbassare il limite a 12 anni sarebbe stato contrario alla razionalità, all’etica e all’utilità, e non è stato fatto”. Sempre il Guardasigilli ha specificato che nel Dl è prevista la segnalazione di un pubblico ministero al procuratore dei minorenni di under 18 coinvolti in un’associazione a delinquere di stampo mafioso o per traffico di stupefacenti, anche “non necessariamente come autori del reato”. Ciò, “potrà essere l’inizio per la perdita della potestà genitoriale.

Per la tutela del minore è stata rafforzata la sanzione nei confronti dei genitori, o di chi esercita la potestà genitoriale, di chi abbandona i figli e non li fa andare a scuola. Questo abbandono fino a ieri era punito con una sanzione platonica (30 euro, ndr.), noi l’abbiamo elevato a rango di delitto’’, con il rischio per i genitori sino a 2 anni: “Responsabilizzando i genitori, crediamo che indirettamente venga aiutato il minore nel percorso di educazione”. Tra le altre misure: l’arresto in flagranza dei giovani tra i 14 e 18 anni e l’implementazione del parental control per l’accesso ai siti porno da parte dei minorenni, secondo quanto affermato dal ministro della Famiglia Eugenia Roccella.

Le dichiarazioni di Giorgia Meloni

La Meloni in conferenza stampa ha spiegato: “Tutte queste norme vengono viste come repressive. Non sono solo repressive, ma anche di prevenzione.  Se l’uso dei minorenni si è allargato a dismisura nelle pratiche criminali è anche per l’utilizzo da parte della criminalità organizzata, perché sapevano che non ci sarebbero stati particolari conseguenze. In questo paradosso abbiamo fatto in modo di esporli di più, perché si è fatto utilizzo di giovani. E noi dobbiamo porre un freno”. Poi un riferimento preciso “all’arresto in flagranza per reati per i quali non era previsto dai 14 a 18 anni. Perché se un ragazzo gira con una pistola carica, ora non può essere arrestato”.

Secondo la presidente del Consiglio, Meloni “il terzo grande filone riguarda l’educazione: offrire alternative, potenziare il ruolo degli educatori, dobbiamo compensare questa assenza ma funziona se i bambini a scuola ci vanno. A Caivano ho scoperto che in caso di violazione dell’obbligo scolastico la pena era pagare 30 euro: ora diventa delitto, ti fai fino a due anni di carcere e la revoca della potestà genitoriale”. Infine la premier ha parlato del tema della dispersione scolastica, sempre più elevata per le bambine che crescono in famiglie islamiche: in Italia è previsto l’obbligo scolastico e deve essere garantito”. Sull’omicidio di Napoli di Giovanbattista Cutolo, la premier Giorgia Meloni, parlando dell’incontro a Roma con la mamma del musicista 24enne ucciso, Daniela Di Maggio, ha annunciato: “Intendiamo proporre una medaglia d’oro al valore civile, è una delle richieste che la mamma ha fatto e la considero assolutamente doverosa’’. Parlando della Di Maggio la Meloni si è riferita a lei come “una donna che vuole combattere. E a queste persone delle risposte vanno date’’.

Le criticità spiegate da un avvocato

Sull’argomento, complesso, Tell ha interloquito con l’avvocato Cecilia Gargiulo, esperta in diritto minorile della famiglia e già coordinatrice della Commissione diritto dei minori Coa NA, coordinatrice commissione diritto di famiglia Uoam e direttore del dipartimento Diritto dei minori per Accademia Napoletana Forense. “Togliere il cellulare è una norma troppo astratta. La misura ha un senso se realisticamente osservata, giacchè i minori e a volte gli adulti di riferimento trovano il modo per aggirare l’ostacolo’’, afferma l’avvocato, aggiungendo come “sia legiferare una materia così delicata senza lasciare uno spazio di discrezionalità’’. In ogni caso, riconosce il legale, rispetto all’uso spesso fuori controllo dei social, per un avvocato “è complicato proprio perché molti reati si consumano con il cellulare, la situazione è drammatica’’.

Troppe sono le armi in mano ai minorenni e in tanti chiedono una decisa stretta in tal senso. “Le armi provengono dagli adulti. Fare il blitz al Parco Verde va bene, ma bisognerebbe fare dei controlli tutti i giorni e io, ad esempio, nella città di Napoli non ne vedo poi così tanti’’, dice l’avvocato Gargiulo. Altra riflessione sul possibile allontanamento del contesto familiare dei giovani che delinquono e sulle sanzioni per i genitori che non mandano i figli a scuola: “Sono concorde nel non fare differenza tra 14 e 16 anni che hanno determinati comportamenti o sono protagonista di certe azioni – l’idea dell’avvocato – ma vanno indagati i contesti familiari, senza fare i giustizieri della notte, perché la legge già c’è in materia. Le segnalazioni per i ragazzini che non vanno a scuola esistono già, ma forse pure qui c’è bisogno di un sistema più astringente’’.

Per la Gargiulo, la questione è quella della responsabilità genitoriale. “Si tratta di una norma per me assurda. Noi dovremmo assistere questi genitori e creare una differente cultura. Se pure i genitori mandassero i propri figli a scuola ma non viene sradicata la cultura della violenza, i figli torneranno a casa e tutto tornerà come prima’’. Ecco poi l’ulteriore precisazione. “Sull’idea di togliere i figli ai genitori, magari facenti parte di clan di camorra o Ndrangheta, già anni fa il Csm si è espresso, in caso di pentitismo togliere i figli viene vista come forma di tutela. I prelievi, però, possono fare sia bene che male. Se si è fortunati – la convinzione dell’avvocato Gargiulo – c’è una base su cui lavorare, non tutti i minori portano in sé violenza. In Calabria abbiamo difeso dei ragazzini perché rimanessero in famiglia perché solo uno dei genitori era implicato in certi ambienti. I ragazzi, invece, erano inseriti nel contesto di scuola, erano seguiti, e quindi ci opponemmo al prelievo. Fare un distinguo tra caso a caso. Prelevarli se ci sono i presupposti’’.

C’è anche un problema di tempestività nello smaltimento delle richieste di intervento. “Le richieste sono tante – prosegue l’avvocato Gargiulo -. Un assistente sociale dovrebbe occuparsi anche di giovani adolescenti che non vanno a scuola e non solo, giustamente, per chi viene abusata. Magari i ragazzini vengono pure mandati a scuola dai genitori, poi però li ritirano e il monitoraggio vero e proprio non arriva mai, cosa di cui dovrebbero occuparsi i servizi sociali, gli uffici scolastici e anche le Asl. Se le aziende sanitarie locali si occupano di vaccinazioni, perché non possono contribuire a individuare i ragazzini che non sono a scuola?’’.

L’avvocato Cecilia Gargiulo però è convinta come non esista “un’unica prescrizione, perché il mondo del diritto minorile non è fatto solo di devianza ma anche di solitudine, di abbandono sociale e degrado relazionale. Esistono anche altri tipo di violenza altrettanto gravi che provocano danni. Un bambino stalkerizzato o bullizzato rischia il suicidio. Bisogna recuperare un modello su cui fare rete. Un esempio: se vai in un Tribunale ci deve essere un giudice che sappia restituire un senso di giustizia che pensi che ti sia stato tolto. Per un servizio sociale deve esserci un assistente sociale che ti sappia ascoltare e comprendere, non una Mina Settembre (la protagonista della fiction Rai interpretata dall’attrice Serena Rossi, ndr.)’’.

Qui torna prepotentemente alla ribalta il tema dell’importanza dell’istituzione scolastica. Ancora l’avvocato Gargiulo: “La scuola deve essere veramente portatrice di valori sani e modelli di interesse e d’impegno, oltre la lezione frontale e il libro. Occorrono momenti di ascolto e produzione musicali, laboratori per la gestione delle emozioni. Le responsabilità negative le ha anzitutto la famiglia, che oramai non esiste più’’. Se “un nostro figlio prende 4 come voto, andiamo a scuola a prendercela con i docenti invece di prendercela con i nostri figli e di dire loro di studiare. Oggi il professore viene aggredito, mentre ci facciamo le foto su Instagram e abbandoniamo i nostri figli. Purtroppo restano modelli non positivi per i ragazzi che vengono definiti fragili Gomorra e Mare Fuori’’.

I vari progetti, le difficoltà, le soddisfazioni

Nella sua ventennale esperienza, l’avvocato Cecilia Gargiulo ha partecipato a diversi progetti per il recupero dei ragazzi ed è stata presente alla firma del Protocollo d’intesa a Nisida per la tutela dei minori vittima di reato con i soggetti firmatari quali: la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli; la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli; il Centro di Giustizia Minorile della Campania; la Regione Campania; il Comune di Napoli; la ASL NA 1; la Questura di Napoli; Il Comando Provinciale dei Carabinieri di Napoli; Defence for Children International Italia Odv. Fare rete è il “modello che funziona”, secondo Gargiulo.

Qualche difficoltà nel portare avanti progetti di recupero dei minori comunque c’è, e l’avvocato Cecilia Gargiulo non lo nasconde. “Al di là delle proposte – ricorda – quando noi abbiamo tentato di proporre di progetti per il recupero di questi ragazzi e interessarli in uno spazio altro (che non sia lo sfottò dell’amico che finisce in tragedia), c’è stato un insabbiamento forse perché non veniva dalla giusta parte politica o forse non c’erano i giusti sponsor’’. Qualche soddisfazione è comunque arrivata: “Non bisogna fare di tutt’erba un fascio, però. Io ho seguito un ragazzo cresciuto in una famiglia facente parte di un noto gruppo camorristico, lui ha fatto un percorso di vita diverso quando gli si è fornito un modello diverso. Il ragazzo è stato recuperato, intraprendendo un percorso di legalità. Peraltro la cosa più sorprendente è stata la partecipazione e il riconoscimento con un premio a un concorso di poesia. Lui non era una vittima ma era un bullo ed è emerso dalla poesia è che anche i bulli chiedono aiuto e non vogliono essere abbandonati, forse all’interno conservano paura e non hanno il coraggio di ribellarsi a un certo sistema ed è qui che bisogna fare rete. Certi contesti sono noti’’.

L’allarme di una madre

I racconti su quanto sarebbe avvenuto a Palermo e a Caivano e il recente omicidio del musicista a Napoli sono qualcosa di davvero pesante. La professoressa Maria Luisa Iavarone è la mamma di Arturo Puoti, il giovane che nel dicembre del 2017, quando aveva 17 anni, fu aggredito e ferito da quattro giovanissimi mentre percorreva a piedi via Foria, una strada del centro di Napoli. Anche allora si trattò di un ragazzo che senza motivo fu assalito e accoltellato da coetanei. Quella brutale aggressione ebbe un vasto clamore mediatico. Abbiamo parlato di quanto accaduto con l’omicidio di Giovanbattista Cutolo, con la madre di Arturo, Maria Luisa Iavarone, per capire cosa è cambiato in oltre 5 anni.

“Quasi 50 anni fa il giornalista Joe Marrazzo parlava dei famosi ‘muschilli’ di Napoli. Noi oggi ribadiamo ancora questa drammatica emergenza adolescenziale. A Napoli abbiamo ragazzini che vivono in continuità criminale, il numero è sempre più crescente’’. Iavarone, docente universitaria e presidente dell’associazione Artur – Adulti Responsabili per un Territorio Unito contro il Rischio, sottolinea al nostro giornale un importante dato contenuto in un’indagine condotta insieme al professore Giacomo Di Gennaro, dal titolo “I ragazzi che sparano’’. “Abbiamo appurato – ha rivelato – che l’area metropolitana di Napoli è la prima in Europa per un tristissimo fenomeno di allarme sociale: l’uso delle armi da sparo da parte di minorenni. Ogni 3 giorni un minore viene trovato in possesso di un’arma che viene sequestrata’’.

Iavarone rievoca il background criminale dell’assassino reo confesso di Giovanbattista L.G., residente ai Quartieri Spagnoli. “Già a 13 anni aveva un incipit criminale, perché macchiatosi di un reato gravissimo come un tentato omicidio, continuando poi con risse, furti, rapine, furti di commissione di rolex. Abbiamo dei ragazzi che a 16-17 anni sono dei killer’’. Dunque, quale soluzione potrebbe funzionare per attenuare questo terribile fenomeno dei ragazzini pervasi dalla violenza? Per Maria Luisa Iavarone, “al di là dell’inasprimento delle pene bisogna avere un protocollo di attenzione straordinario speciale sugli infra quattordicenni. Dobbiamo intervenire prima che i ragazzi entrino nel cruscotto dell’area penale, quando cioè a 14 anni divengono punibili. Bisogna agire prima, a 10-11 anni, cioè quando ci sono le condizioni della pre-devianza, che possono naturalmente sfociare in una devianza grave. In questo modo rischiamo di perderli’’.

Le battaglie dopo la violenza

Nonostante una battaglia a tutto spiano contro la devianza e la violenza giovanile, cominciata dopo il ferimento di suo figlio Arturo, la professoressa Maria Luisa Iavarone dice di “percepire un senso di sconfitta enorme. Io, come la mamma di Giovanbattista, ho dentro di me la frustrazione, la rabbia. Io ho combattuto 5 anni fa, quando mio figlio fu ferito. Ho provato a tirarmi dietro le istituzioni e risvegliare le coscienze della cittadinanza un po’ pelosa che ha pianto un ragazzo come Giovanbattista’’. Rispetto alla vicenda del ferimento di Arturo, sua mamma Maria Luisa ricorda come “dei quattro aggressori, uno di loro era un rampollo di camorra di un clan, infra quattordicenne, e quindi non era imputabile. Per gli altri tre ci sono state delle condanne esemplari, 9 anni e mezzo per ognuno di loro: uno è andato a Nisida, uno ad Airola e un altro affidato a una comunità. Io spero in una maggiore giustizia sociale, una capacità effettiva di redimersi”.

E come sta oggi Arturo Puoti, adesso quasi 23enne? “Mio figlio – afferma la madre Maria Luisa Iavarone – ha faticosamente ripreso in mano il bandolo della sua esistenza. Si è laureato alla Federico II e poi partirà per una doverosa esperienza all’estero’’. Nonostante tutto, aggiunge la professoressa Iavarone, “una parte di lui, dopo i fatti di quel 18 dicembre, è morta. È vero, è stato più fortunato rispetto ad altre vittime che hanno lasciato la vita ma il dramma esiziale è che si può morire in diversi modi. Arturo è un po’ morto dentro, questa storia l’ha segnato irrimediabilmente, io me ne accorgo tutti i giorni. Mentre lo guardo allo specchio, quando deve farsi la barba, deve fare i conti con una ferita di 15 cm che gli attraversa tutto il collo. Questi sono segni, non solo fisici, sono indelebili squarci sull’anima, graffi sul cuore’’, conclude Maria Luisa Iavarone.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here