Quasi 300.000 posti di lavoro in più al febbraio 2024 (ultimi dati Istat disponibili rispetto ad aprile 2023. È quanto certifica la Cgia di Mestre che ha reso noto i dati degli occupati in Italia in concomitanza con la ricorrenza della Festa dei Lavoratori, che si celebra ogni anno il 1 maggio. Un anno fa i lavoratori nel nostro Paese erano 23.481.000, agli inizi di quest’anno 23.773.000, una differenza 292.000 unità. Stando ai rilevamenti della Cgia, per il 2025 gli occupati sfioreranno i 24 milioni. A dare lavoro sono soprattutto le piccole. imprese, con il 98% delle aziende italiane che hanno meno di 20 addetti ciascuna. Rispetto alla categoria dei dipendenti pubblici, tra il 2023 e il 2024 c’è stato un aumento di 742.000 unità pari al 5%. Il numero dei dipendenti altamente specializzati e qualificati dal 2023 al 2024 si è accresciuto del 5,8% (+464.000) pari al 96,5% dei nuovi posti di lavoro creati nel 2023. Rispetto al 2019, l’anno ultimo pre Covid, la differenza è del +2,3%.
L’incremento dal 2019 in alcune Regioni
Dal 2019 ad oggi i maggiori incrementi occupazionali si sono avuti in alcune Regioni come la Puglia con +6,3% (+77mila), la Liguria (+31mila), Sicilia (+69mila) entrambe con il +5,2%, la Campania +3,6% (+58 mila) e la Basilicata con il +3,5% (+7 mila). A livello provinciale l’aumento più significativo si è avuto in città come Lecce, (+16,5%;+36.500), Benevento (+12,4%;+10.000), Enna (+11,2%;+4.800), Frosinone (+10,9%;+16.600) e Ragusa (+9,4%;+10 mila). Tra gli ultimi posti della graduatoria provinciale ci sono con -4,3% il Sud Sardegna (-4.900) e Siracusa (-5.000), Caltanissetta (-5,2%;-3.400), Sassari (-6,8%;-12.600) e ultima Fermo (-7,9%;-6 mila).
L’Italia ultima nell’area euro e salari fermi
Nonostante la crescita dei posti di lavoro tra l’aprile 2023 e il febbraio 2024, l’Italia rimane fanalino di coda per la crescita dell’occupazione tra i 20 Paesi dell’area Euro. La differenza è ampia: 61,5%, contro una media del 70,1% dell’Eurozona. Rispetto al 2019 i lavoratori autonomi sono diminuiti di 223.000 unità (-4,2%) nonostante un leggero aumento nel 2024 dell’1,3%, pari a 62.000 unità. Alla fine del 2023 l’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, ha attestato come in Italia i salari siano cresciuti solo dell’1% rispetto al 32,5% di media nell’area Ocse. I salari, in buona sostanza, sono rimasti fermi dal 1991 se si tiene conto dell’aumento del costo della vita e dell’inflazione. Inoltre, nell’ultimo quadrimestre del 2023 il costo dell’orario di lavoro in Italia si è contratto dello 0,1% e le tasse sul lavoro dello 0,2% mentre è aumentato del 3.4% nell’area euro e del 4% nell’Unione Europea secondo quanto certificato dall’Eurostat.
I lavoratori stranieri
Interessanti anche i dati pubblicati dalla Fondazione ISMU ETS di Milano sulle assunzioni di cittadini non italiani. Nel 2023, per la prima volta, la domanda di personale straniero da parte delle imprese italiane nel settore secondario (manifatturiera, chimica, tessile, farmaceutica, agroalimentare, metallurgica, meccanica, energia, l’edilizia, l’artigianato e la metallurgia, specializzato nella lavorazione di metalli) e terziario (quello dei servizi) ha superato il milione. Secondo quanto attestato dal sistema di monitoraggio Unioncamere-Excelsior, che ha raccolto dei dati pubblicati nel volume Lavoratori immigrati realizzato in collaborazione con il Settore Lavoro e Welfare di Fondazione ISMU ETS, a guidare le assunzioni degli stranieri in Italia è il settore dei servizi (7 su 10) con 321.000 ingressi nel 2023 con un + 9% rispetto al 2022. A seguire il turismo con 207.000 ingressi (+ 23,5% rispetto al 2022) il servizio alle persone con 125.000 unità (+7,4% rispetto al 2022) e il commercio con 101.000 assunzioni di stranieri con un aumento del 18,2% rispetto al 2022. Per quanto riguarda il fabbisogno di personale, stando sempre ai rilevamenti di ISMU, in testa troviamo l’industria manifatturiera (173mila +11% rispetto al 2022) e le costruzioni (118mila, +25,5% rispetto al 2022). Oltre il 55% in più rispetto al 2022 si registra nel settore delle pubbliche utilità (acqua, gas, energia e non solo). Per ciò che concerne le assunzioni di stranieri non qualificati, per il 2023 a prevalere sono quelle delle figure addette alla pulizia (128.000 assunzioni), camerieri (74.000). A seguire: conduttori di mezzi pesanti e camion (66.000), commessi per la vendita al minuto (59.000), addetti all’imballaggio e al magazzino (58.000), muratori (54.000). E poi ancora cuochi in alberghi e ristoranti (42.000), addetti alla preparazione e distribuzione di cibo (29.000) e operatori qualificati dei servizi sanitari e sociali (25.000).
Le considerazioni di ISMU
Da Fondazione ISMU ETS sottolineano a commentando dei dati appena enunciati: “Emerge una altissima quota di assunzioni di immigrati per le quali le imprese avvertono difficoltà di reclutamento. Il fabbisogno delle imprese supera l’offerta. Il che appare ancora più rilevante se si considera che, nei prossimi anni, le aziende italiane dovranno misurarsi con la necessità di assicurare il turnover generazionale delle folte coorti di boomers – e successivamente di appartenenti alla generazione X – che usciranno dall’età attiva’’. Da ISMU ETS ricordano altresì come “l’Italia, insieme alla Bulgaria’’, sia “il Paese europeo con l’età media delle forze lavoro più elevata. Nel 2026 ben un residente ogni quattro avrà più di 65 anni. Dal 2029 al 2041, secondo Eurostat, l’Italia perderà ogni anno più di 200mila persone in età attiva, con una media di 289mila unità annue in meno’’. Secondo quanto emerge dalle elaborazioni del database Excelsior realizzate da Fondazione ISMU ISMU ciò che viene richiesto dalle imprese come competenza agli stranieri è la “flessibilità’’, con il 61% dei casi. A seguire il saper lavorare in gruppo con il 49,2% dei casi. Percentuali non così dissimili per gli italiani: 67,3% per la flessibilità, 57,3% dei casi di saper lavorare in gruppo.
I divari tra italiani e stranieri
Dalla stessa elaborazione viene anche chiarito come “mediamente si osserva sempre un maggior tasso di richiesta delle aziende nei confronti degli italiani che non degli immigrati, da un massimo di oltre dodici punti percentuali in più per quanto riguarda il saper utilizzare tecnologie digitali (25,7% contro 13,2%) a un minimo di poco più di due (42,2% contro 40,1%) per quanto concerne il risparmio energetico e la sostenibilità ambientale’’. Il secondo, rilevante, divario riguarda le aspettative tra italiani e immigrati da parte delle imprese relativamente al problem solving: 44,3% tra gli italiani contro 33,7% tra gli immigrati. Differenza marcata è possibile notarla per gli addetti all’informazione nei call center con la richiesta di problem solving che riguarda il 78,8% delle assunzioni previste di italiani ma solo il 36,7% di quelle di stranieri. Tra gli addetti alla gestione dei magazzini il raffronto è 65,2% tra gli italiani e 26,7% fra gli stranieri.