Oltre 500 morti secondo le stime più o meno ufficiali, difficilmente confermabili per la chiusura di un regime brutale, ma le vittime potrebbero essere molte di più. Migliaia di arresti e di incarcerazioni, decine di condanne a morte eseguite, violenze e disordini in strada e nelle piazze. A un anno dall’inizio delle proteste in Iran a seguito della morte di Mahsa Amini, la giovane 22enne arrestata dalla polizia per non aver indossato in modo corretto l’hijab e ritrovata morta il 16 settembre 2022 mentre era detenuta, le proteste sono ancora in corso anche se ora fanno meno notizia. Simbolo di questa domanda di libertà sono state le donne iraniane, pronte a rivendicare il proprio diritto all’emancipazione, a cui nei movimenti di piazza si sono affiancati anche molti uomini.

L’attenzione sopita

Tutti ricordano le ciocche di capelli che attrici, star, personaggi dello sport hanno mandato alle ambasciate iraniane in varie parti del mondo, un gesto che stava a significare la piena vicinanza alle donne dell’Iran. Ma ora? Rozita Shoaei presidente dell’associazione culturale Azadi Napoli, che rappresenta non solo le donne iraniane ma anche gli uomini che stanno combattendo contro l’oppressione del regime e che cerca di supportare gli esuli iraniani sull’intero territorio italiano, parlando a Tell sottolinea: “Nonostante una minore attenzione e la repressione del governo, in Iran proteste vanno comunque avanti. Si tratta di proteste non violente, che partono dalla disobbedienza civile’’.

In “questa battaglia per la libertà in Iran – spiega e riconosce la presidente Shoaei – ci sono momenti più caldi e momenti più di riflessione, ma la lotta continua ogni giorno. I momenti di apparente calma sono quelli di riflessione che ci servono per andare avanti più carichi e rimanere saldi. Attualmente in tutto il mondo vivono 9 milioni di iraniani, più del 10% della popolazione. Molti di questi 9 milioni sono stati costretti ad andarsene per non subire le punizioni del regime nato dopo la Rivoluzione khomeinista del 1979. Da allora, e anche oggi, sono state molte le sanzioni inflitte all’Iran e gli embarghi dai Paesi occidentali, con gli Stati Uniti in testa, per il programma nucleare e poi per la repressione. Tali misure però – denuncia Rozita Shoaei – sono a discapito soltanto del popolo’’. Un esempio? “Ci sono banche che non aprono un conto corrente per i cittadini iraniani, a causa delle sanzioni. Questa situazione penalizza soprattutto gli studenti che non riescono ad accedere a crediti bancari. C’è una vera e propria discriminazione ai loro danni. Gli enti locali ci sono stati vicini da quando sono cominciate le proteste, ma deludente è stata la reazione dello Stato italiano e non solo, a dire il vero, di questa nazione – insiste la Shoaei – A livello di chiacchiere tutti dicono di voler difendere i diritti, ma in concreto nessuno fa nulla. I diplomatici fanno incontri, si parlano, il presidente della Repubblica iraniana ha addirittura fatto un viaggio in America dopo tanti anni di mancate relazioni. Sono stati finanche riattivati i rapporti con gli altri Paesi dell’area come l’Arabia Saudita’’ notoriamente difficili, dato che quel Paese, vicino agli Usa ed altre nazioni occidentali, è a maggioranza sunnita mentre l’Iran è a maggioranza sciita.

La presidente di Azadi Napoli, delusa da un deficit di attenzione in questo 2023, al contrario di quanto successe dal settembre 2022 e per i mesi successivi, aggiunge: “Non basta una ciocca di capelli spedita all’Ambasciata per cambiare le cose, ci vogliono atti politici concreti. Come dimostra questa storia dei conti correnti bloccati che mettono in difficoltà gli studenti e gli esuli iraniani, le sanzioni colpiscono soltanto l’incolpevole popolazione’’. Poi la conclusione. “La rivoluzione in Iran non è solo esclusivamente femminile, ma anche degli uomini che ci sono stati accanto e sono stati incarcerati più delle donne. Avere numeri su uccisioni, morti e incarcerazioni tuttavia è impossibile, vista la stretta del regime’’.

Il grido di Nasim Eshqui

In questi giorni nella città di Napoli per ricevere il premio “La scalata dei diritti’’ conferitogli dal Comune partenopeo, Nasim Eshqui, l’alpinista che ha gareggiato senza velo diventando il simbolo della libertà delle donne, e osteggiata dal regime che la costringe all’esilio in Europa allontanandola quasi permanentemente dalla sua Teheran, ci dice: “Il mondo non è ancora informato abbastanza su quanto sta accadendo, ci sono molti che non vogliono dare voce alle donne in Iran forse perché più interessati all’aspetto economico, alla vendita del petrolio. Io voglio invece che la voce delle iraniane arrivi ovunque’’.

Nasim Eshqui, che già quando faceva kickboxing, prima di dedicarsi alle scalate, decise di gareggiare senza velo suscitando le ire del governo, vuole mettere a frutto la propria abilità sportiva e il proprio coraggio per le donne dell’Iran attraverso un progetto che si chiama “Quando le montagne parlano’’ che, afferma, avrà l’ardire di voler “far scalare per le donne in tutto il mondo, in massima libertà, e dare la voce per il cambiamento non solo per le donne iraniane ma anche per gli uomini del nostro Paese’’. Proprio qualche giorno fa Nasim ha inaugurato sul Catinaccio, in Val di Fassa, la seconda via del progetto. L’ha chiamata “Women, life and freedom”, ossia “Donna, Vita e Libertà”, lo slogan che ha accompagnato le proteste in Iran, urlato nelle strade, scritto sui muri, impresso sugli striscioni, e con cui ora Nasim ha denominato una via per la scalata verso la libertà.

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