La portiera spalancata, le gambe scoperte accavallate. Ada, seduta nella sua macchina con il suo corpo ben in vista, aspetta il prossimo cliente. Sulla strada di periferia dove si ferma, le auto passano sfrecciando. Qualcuno rallenta per ammirarla. Con la pandemia sono diminuiti coloro che si fermano. “In molti hanno paura del virus. Pure io – sbuffa -. Ma questo è il mio lavoro”. Gli avventori comunque non mancano. Anche quando i giorni sono da zona rossa e le restrizioni anti-Covid consentono solo le uscite per lavoro, urgenze e necessità.

“Se riesco a fare massimo cinque macchine al giorno, sono contenta. Prima andava molto meglio, si lavorava bene”, dice. Intorno a sé, oltre la striscia di asfalto destinata al transito dei veicoli, solo distese di campi deserti e, in lontananza, qualche fabbrica. Ada è un nome di fantasia che le attribuiamo per questioni di sicurezza. Ha appena 25 anni e un figlio di 5 anni da mantenere in Lituania, Paese da dove è arrivata circa due anni fa.

“La mia famiglia non sa che faccio questo lavoro. Se mia madre sapesse che mi prostituisco, morirebbe sul colpo. Mi ha inserito un’amica e smetterò quando avrò accumulato la somma per l’ultima operazione a mio figlio, penso che ci vorrà ancora qualche mese”, racconta. Ada vende il suo corpo per pagare le cure per il suo bambino invalido. “Mio figlio è rimasto disabile a causa di un incidente. Da allora non riesce a camminare bene, deve essere aiutato. Ha fatto due operazioni e ora ne serve un’altra. Per questo ho venduto anche la mia casa. Ora lui vive con la nonna. Se volessi farlo venire, anche per farlo seguire qui dai medici, dovrebbe trasferirsi anche mia madre e io, poi, non potrei più fare questo lavoro e con le spese non ce la farei”, rivela.

Ada dice di aver perso anche il marito, 4 anni fa: “Dopo il lavoro uscì con gli amici e morì in un incidente. Adesso non voglio più innamorarmi”. Poi il trasferimento in Italia, dove ha trovato sulla strada il suo lavoro. Si offre ai passanti di zone isolate della periferia napoletana, dove è più esposta al rischio di aggressioni e rapine. Mentre parla un uomo va avanti e indietro con la sua macchina. “Fa sempre così. Lui guarda soltanto”, dice. Fino a un anno fa svolgeva la sua attività ad Acerra. “Ma lì succedevano troppe rapine – afferma -. Questa è invece una zona più tranquilla e ogni giorno passano carabinieri e polizia”.

“Per un periodo – svela – c’è stata una coppia di stranieri che veniva a darmi fastidio, forse volevano soldi da me. Io l’ho detto al mio padrone e ora è da un po’ che non li vedo”. Nonostante il protettore che sostiene di avere alle sue spalle, non sono mancati problemi per la spartizione del territorio con altre persone che in quel luogo hanno trovato una vetrina per offrire le proprie prestazioni sessuali. “È la vita della strada”, afferma. Quella che ha imparato sulla sua pelle e di cui parla senza mai perdere il sorriso. Quella in cui si è immersa con la disillusione che non nasconde, ma senza perdere un pizzico di speranza in un futuro migliore. “Questa è la vita che mi ha dato Dio”, afferma rassegnata.

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