L’arrivo in Italia come tappa finale di un lunghissimo viaggio in bus equivale a una rinascita. L’eco delle bombe è ora lontano, ma il pensiero per la devastazione del proprio Paese invaso su larga scala dall’esercito russo insopprimibile. Lesia, Maria, Sofia, Yuri, Elizabet, Ana sono a Napoli da qualche giorno. Come centinaia di migliaia di altri connazionali hanno lasciato il loro Paese in fiamme per ricominciare. O almeno provarci. Le loro storie e testimonianze raccontano di cosa sia oggi l’Ucraina, diventato teatro di guerra.
Il viaggio a piedi al confine polacco
Yuri e Sofia, fratello e sorella di 8 e 16 anni, sono partiti sabato scorso dalla frontiera polacca giungendo a Napoli soltanto martedì pomeriggio. Il bus sul quale sono riusciti faticosamente a salire è stato messo a disposizione gratis da volontari ucraini già nel capoluogo partenopeo, attivatisi immediatamente per i propri connazionali dopo l’inizio del conflitto.
Lungo l’itinerario: prima la Polonia, poi l’Europa Orientale, l’Europa Centrale infine l’Italia con tappa a Venezia, Milano, Roma e Napoli come approdo finale. Con loro c’era mamma Maria, in Italia già da anni per lavorare come domestica. La donna, appena saputo della possibilità per Yuri e Sofia di partire, è andata immediatamente al confine con la Polonia per riabbracciarli e fare poi tutti insieme il viaggio verso il nostro Paese. Il motivo che l’ha spinta è meno romantico di quanto si possa credere, non riguarda solo l’amore scontato di una mamma: Yuri e Sofia sono infatti stati costretti a raggiungere il confine polacco dall’Ucraina da soli, camminando a piedi al gelo per almeno 20 km, aiutati da persone sconosciute in attesa anche loro di partire. Un vero trauma.
“Mio marito è rimasto in Ucraina a combattere come tutti gli uomini e non ha avuto la possibilità di accompagnarli per tutto il tragitto. Si è occupato soltanto dei documenti. Saperli lì da soli all’aperto è stata una sensazione di sofferenza indescrivibile, quando li ho rivisti per partire l’angoscia se ne è andata”, il racconto di Maria che con la sua famiglia proviene dall’Ovest dell’Ucraina. “Ho ancora un’altra figlia nel Paese, dove ci sono anche altri miei parenti. Il pensiero va a loro. Speriamo che la guerra finisca presto”. Con Sofia e Yuri, sullo stesso pullman, anche le cugine Ana ed Elizabet per le quali il copione si è ripetuto: da sole sino alla frontiera della Polonia dall’Ucraina, costrette a camminare separate. Aiutate da volontari per il vestiario e il cibo, si sono riviste alla frontiera nelle ore di lunghe attese di partire. “Sono al sicuro pure loro, staremo dai parenti qui a Napoli. Vogliamo tornare a sorridere e intanto confidiamo nella conclusione del conflitto”, l’aggiunta di Maria.
Yuri, Sofia, Elizabet, Ana non erano gli unici ragazzini del bus partito sabato scorso. Ce n’erano anche altri, di età anche più piccola, compresa una neonata in braccio alla mamma, provenienti dalle più disparate aree dell’Ucraina: da Est a Ovest.
Alcuni avevano in mano degli orsacchiotti, simbolo della speranza da ritrovare. “L’infanzia non ce l’hanno più, gli è stata strappata. Sono stati costretti a camminare anche da soli al gelo. Tanti bambini si sono messi a piangere quando la polizia è salita per i controlli, per lo stress hanno vomitato. Putin ci sta togliendo tutto, gli ucraini sono senza lavoro e senza prospettive. E in più stanno morendo tanti piccoli”, è la sintesi di una donna che ha accolto i suoi parenti.
La speranza di Lesia
Lesia è una ragioniera di 38 anni. Madre di due ragazzine di 17 e 10 anni che non avrebbero mai voluto lasciare la sua cittadina nelle vicinanze di Leopoli, in Ucraina dell’Ovest. Le sue finanze, già messe a dura prova da due anni di Coronavirus che ha rallentato tante attività economiche e lavorative, sono state irrimediabilmente compromesse dalla guerra. In più, la morte prematura di suo marito l’ha costretta a provvedere da sola al mantenimento della sua famiglia. Impossibile restare in Ucraina, quindi la decisione di partire.
Lesia da sabato scorso alloggia a Napoli a casa della sorella Olha che è partita verso il confine polacco per sostenere lei e le sue figlie. Il tragitto è stato lungo, ben 33 ore di bus. “Mia figlia più piccola – il racconto di Lesia – non ha ancora capito del perché sia stato necessario lasciare la sua casa. La più grande, adolescente, è semplicemente arrabbiata: non accetta che il suo Paese sia violato dalla Russia. Io le lascerò entrambe a tempo indefinito da mia sorella a Napoli, personalmente penso di tornare in Ucraina per stare vicino a mia madre che rischia ancora di essere colpita dalle bombe. Già abbiamo vissuto la pandemia e ora questa situazione. Il popolo ucraino non si arrende all’invasore, ma è stremato da tutta questa serie di eventi”.
“Immaginate la A1 ad un certo punto chiusa con degli pneumatici e i sacchi di sabbia utilizzati per fare le barricate“, le parole di Olha, la sorella di Lesia, che poi ha aggiunto: “Non ci saremmo mai immaginati di arrivare a questo punto. In Ucraina dell’Est si combatte da 8 anni ma da Leopoli quel conflitto era lontano. I nostri uomini andavano a combattere come vanno a combattere oggi certo, ma non eravamo sotto le bombe come adesso e i russi non segnavano gli edifici da bombardare. Quando abbiamo affrontato il viaggio il timore di finire sotto un attacco aereo è stata una costante, inconcepibile nei vent’anni precedenti per me. Io sono qui, ma il mio cuore è in Ucraina”. Come i cittadini di tutto il mondo, oramai.
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