“Questo è un libro disordinato”, avverte subito nell’incipit Chandra Candiani. La sua ultima opera pubblicata da Einaudi è una raccolta di pensieri sparsi. Non c’è una trama, non ci sono capitoli, solo brevi riflessioni apparentemente senza connessione. Poco più di 150 pagine in cui la meditazione prende corpo attraverso le parole, unite da un unico filo conduttore: l’indagine introspettiva, del rapporto con la natura e con il mondo circostante. Sono pagine impregnate di Buddismo, i cui insegnamenti l’autrice ha abbracciato, dove trovano spazio anche i segni lasciati dalla pandemia da Covid19.

L’autrice, milanese, classe 1952, parla dei suo dialoghi con gli alberi, con gli animali che incontra lungo i suoi percorsi. Accoglie la vita che semplicemente accade. Esalta il valore del silenzio, non come “regola”, o necessità di non comunicare delle esperienze, ma perché “il linguaggio convenzionale non riesce a tenere insieme gli opposti, il sacro e il mondano, il presente e il tempo, la verità e la menzogna, la naturalezza e l’artificio”. “L’esperienza meditativa – scrive – è proprio questo al di là degli opposti, che non li nega ma li raccoglie in un unico abbraccio”.

Candiani racconta come accettare ciò che sentiamo, il dolore, le gioie, possa essere un modo per lasciare scorrere, e continuare a vivere con più leggerezza, senza lasciarci logorare dalla rabbia e dalla sofferenza, accettandole. Le ferite – dice – vanno ascoltate, e le definisce “solo pezzi di oscurità che vogliono essere portati alla luce”.

“Esiste una lotta – scrive -, tra chi vuole fare del mondo un posto grazioso, avvolto dal pensiero positivo e dal nascondimento delle tenebre e chi nelle tenebre c’è stato, ne ha i segni addosso e vuole vivere, ma non vuole dimenticare, vuole stare nell’onore al vero […]. La verità dell’esistenza, la dignità di portare ferite non si tocca. E non si tratta. Non si scende a patti. Il mondo è anche un inferno e chi c’è stato vuole ricordarlo, e dirlo”.

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