Sono giorni difficili per il Mali. Lo Stato situato nell’interno dell’Africa occidentale si è trovato ad affrontare due attacchi in poche ore. A rivendicare gli attentati, il “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani”, ovvero JNIM, gruppo fondato nel marzo 2017 e guidato da Iyad Ag-Ghali, vecchia figura touareg, diventato capo jihadista e fondatore di Ansar Dine (che significa “ausiliari della religione islamica”, un gruppo fondamentalista islamico dell’Africa nord-occidentale).

Gli attacchi

Mercoledì è stata colpita la zona centrale del Mali, ovvero Segou, e l’obiettivo erano presumibilmente le truppe maliane ed i loro alleati del Wagner Group, poiché questi ultimi hanno una loro base operativa nella zona. Ma, ancora una volta, ad andarci ci mezzo sono stati i civili: giovedì, i terroristi hanno preso di mira il Timbuctù, una nave che trasportava passeggeri e navigava sul fiume Niger. Il battello è stato colpito da tre razzi, intorno alle 11, secondo una comunicazione ufficiale delle forze militari maliane.

Nel contempo, nel nord del Mali, è stato attaccato a Bamba (nella regione di Geo) un distaccamento dell’esercito maliano. Il bilancio provvisorio delle vittime degli ultimi due attacchi, secondo quanto riportato dalla Cnn, è di 64 persone, di cui 49 civili e 15 soldati.

Nel frattempo, il presidente del governo di transizione, Assimi Goïta, ha proclamato un lutto nazionale di 3 giorni. Dal 2020 il Mali è sotto il controllo di una giunta militare e dal colpo di stato del 2021 il Paese è guidato ad interim dal colonnello Assimi Goita. L’instabilità attuale del Paese trae le sue origini da un conflitto nato dal 2012 dalla richiesta di indipendenza dei ribelli del Nord. Da allora, gruppi politici armati (compresi i i gruppi jihadisti), combattono per ottenere il controllo delle rotte del traffico nel Nord. In questo scontro hanno guadagnato terreno i militanti islamici, che si sono diffusi nella regione del Sahel, estendendosi anche in Burkina Faso e Niger.

Dal colpo di stato del 2021 la situazione non è migliorata e gli ultimi attacchi lo dimostrano. Al Jazeera riporta che dal 13 agosto il gruppo islamista JMIN ha organizzato un blocco attorno alla storica città maliana di Timbuktu, situata vicino al fiume Niger, a est del punto in cui si sono verificati gli attentati giovedì e anche gli aiuti umanitari sarebbero stati bloccati.

Ad esprimersi dopo gli ultimi attentati c’è anche Attaye Ag Mohamed, il portavoce del Csp-Psd (in francese, Cadre Stratégique Permanant pour la Paix, la Sécurité et le Développement, ovvero Quadro Strategico Permanente per la Pace, la Sicurezza e lo Sviluppo), coalizione politica e paramilitare nata nel dicembre 2022 per difendere il territorio dalla minaccia jihadista e sempre più ostile alla giunta militare. Attaye Ag Mohamed sulla piattaforma X ha pubblicato un post dove ha ribadito che la coalizione “non ha dichiarato guerra” ma ha annunciato “misure di legittima difesa contro una guerra concretamente ingaggiata dalla giunta di Bamako”.

Ha inoltre allegato al post un comunicato dove si dichiara di “adottare, d’ora in poi, tutte le misure di legittima difesa contro le forze di questa giunta sull’intero territorio dell’Azawad”, nome con cui i tuareg identificano parte della regione settentrionale da loro rivendicata. Secondo i tuareg, la giunta “adduce come pretesto la decisione di far ritirare” la Missione delle Nazioni Unite (Minusma) per rioccupare zone il cui controllo dovrebbe ritornare nelle mani dei gruppi armati, ovviamente in base agli accordi. Il Csp-Psd “non ha mai chiesto a Minusma di ritirarsi dalle basi installate sulle zone poste sotto il suo controllo”, si legge nel documento, in cui si precisa che il loro ritiro ha “dato campo libero” al “gruppo terroristico dei Wagner”, a tutti gli effetti partner delle Forze armate maliane, di far uso di “installazioni strategiche costruite a spese delle Nazioni Unite e di Paesi membri che hanno classificato i Wagner sulla lista nera delle organizzazioni terroristiche”.

Preoccupazione per le presunte violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate del Mali è stata espressa anche dalle Nazioni Unite. Gli esperti Onu in un rapporto affermano che “la violenza contro donne e ragazze e la violenza sessuale legata al conflitto rimangono prevalenti in Mali”. L’organizzazione delle Nazioni Unite si è espressa anche sulla situazione allarmante che riguarda la popolazione: quasi 9 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria nel Paese e 200.000 bambini risultano a rischio di fame. Per l’Onu, “un nesso tra conflitto armato prolungato, sfollamenti interni e limitato accesso umanitario minaccia di far precipitare quasi un milione di bambini sotto i cinque anni nella malnutrizione acuta entro la fine di quest’anno”. Ma se da una parte le Nazioni Unite esprimono la loro preoccupazione, dall’altra, le autorità militari del Mali hanno ordinato alle truppe francesi e alle forze di pace delle Nazioni Unite di lasciare il Paese, invitando appaltatori russi a sostituirli. Secondo un rapporto Onu, ad agosto oltre 30.000 residenti che sono fuggiti dal Paese e da una zona vicina.

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