“Stiamo tornando indietro, perché almeno se moriremo, moriremo con dignità nelle nostre case”, spiega in un video Youmna El Sayed, corrispondente di Al Jazeera. La giornalista, mentre filmava, stava lasciando il Sud di Gaza per ritornare con la famiglia a Nord, nella sua abitazione a Gaza City. Youmna El Sayed e la sua famiglia non sono gli unici che sono tornati indietro. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi afferma che la situazione nel sud di Gaza è così grave che sono diversi i civili stanno tornando a nord, da dove si erano spostati dopo l’avvertimento di evacuazione dell’esercito israeliano.

“Stiamo ritornando con altre due famiglie nei nostri appartamenti nel quartiere di Tel al-Hawa. So che Gaza non è sicura, ma non è sicuro ovunque nella Striscia, non solo a Gaza City. Ieri – raccontava nel corso del viaggio in auto -, e tutta la notte, e nella mattinata di oggi, i bombardamenti non si sono fermati nel Sud della Striscia e questo è il motivo per cui molte famiglie che erano state evacuate a Sud stanno tornando indietro, perché almeno se moriremo, moriremo con dignità nelle nostre case”.

Youmna e la sua famiglia si erano spostate a Khan Younis, ma – racconta la giornalista – anche lì stavano facendo fatica senza elettricità, senza acqua e senza internet. “Siamo completamente fuori dal mondo – diceva davanti alla videocamera mentre si allontanava per tornare a Nord -. So che a Gaza non abbiamo lo stesso elettricità, acqua, internet, ma almeno abbiamo le nostre case dove possiamo stare, e io ho un po’ di acqua nei pozzi dei palazzi residenziali dove siamo”.

Nel filmato mostra quello che si vede dal finestrino della sua auto in movimento, e dice: “Siamo sulla Salaheddin Street, tornando indietro verso Gaza City, e potete vedere che qui c’è stato un bombardamento, potete vedere il fumo che si sta alzando nel cielo”. Poi, entrando nel quartiere dove erano diretti, afferma: “Abbiamo iniziato l’ingresso nel quartiere. Ringraziamo Dio che abbiamo raggiunto casa sani e salvi. Noi eravamo veramente preoccupati, onestamente, di intraprendere questo viaggio ma grazie a Dio siamo tornati a casa sani e salvi, io e i bambini”. Intorno, fuori, un ambiente grigio fatto di macerie, mentre la giornalista abbozza un sorriso con le sue bambine.

Il blocco della fornitura di acqua, elettricità e carburante da parte di Israele rende ancora più catastrofica la situazione lungo tutta la Striscia. Dopo circa una settimana di attesa, domenica 22 ottobre sono entrati dal valico di Rafah i primi 20 camion carichi di aiuti per Gaza, altri 14 ieri, e oggi è stato concesso l’ingresso a un terzo convoglio. “Un altro barlume di speranza per milioni di persone che hanno un disperato bisogno di aiuti umanitari”, ha commentato Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza delle Nazioni Unite, aggiungendo che “hanno bisogno di più, molto di più”. Centinaia di altri camion sono sul lato egiziano del valico in attesa di entrare.

I primi 20 camion trasportavano aiuti che sarebbero bastati per 22.000 persone per un giorno, hanno scritto in una nota le Nazioni Unite dopo gli ingressi iniziali. “Gli operatori umanitari – ha aggiunto l’organizzazione – riferiscono che più di un milione di persone sono sfollate a Gaza, i sistemi idrici sono al 5% della capacità normale e gli ospedali sono sovraccarichi e sull’orlo del collasso. Gaza versava già in uno stato umanitario disastroso a causa di anni di blocco dopo che Hamas ne prese il controllo nel 2006, e le agenzie delle Nazioni Unite hanno descritto la situazione attuale come “catastrofica”. Circa 406.000 persone si stanno rifugiando in strutture appartenenti all’UNRWA , l’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i rifugiati palestinesi, che domenica ha dichiarato che le sue scorte di carburante finiranno entro tre giorni”.

A Gaza i palestinesi aspettano per ore in fila, a centinaia, per riempiere le taniche con dell’acqua potabile e per un po’ di pane.

 

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In un ultimo aggiornamento, Medical Aid for Palestinians afferma che a Gaza l’unica centrale elettrica è spenta e gli ospedali hanno poco carburante per i generatori di riserva.
Un impianto di desalinizzazione, sei pozzi d’acqua, tre stazioni di pompaggio e un serbatoio d’acqua che servono 1,1 milioni di persone sono stati chiusi. “Il consumo medio di acqua è ora di tre litri pro capite al giorno”, è la stima dell’organizzazione. Secondo le previsioni, poi, il grano finirà entro una settimana. “I prodotti refrigerati non sono più disponibili e gli scaffali dei negozi sono sempre più vuoti di beni di prima necessità. Cinque panetterie sono state colpite da attacchi aerei”, aggiunge. Sulla situazione sanitaria, riporta che “il 60% delle cliniche sanitarie di base ha chiuso e gli ospedali lavorano al 150% della capacità. Carburante e medicinali negli ospedali stanno finendo, portando alla riduzione di servizi critici come la dialisi e la chemioterapia. Gli obitori sono stracolmi e gli operatori sanitari sono esausti”.

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