Sparatorie, bombe, incendi. Sono stati anni bui per Brusciano, piccolo comune in provincia di Napoli piegato da una faida di camorra che da dicembre del 2016 ha fatto registrare diversi feriti e un morto. Le tensioni sembravano essere rientrate all’inizio del 2020, con una delle svariate operazioni dei carabinieri che hanno portato in carcere diversi soggetti ritenuti parte dei due clan che si stavano contrapponendo sul territorio, il clan “Rega” e il clan che per la prima volta, in quell’occasione, gli inquirenti ufficialmente denominarono “Palermo”.

La tregua è durata circa un anno. Negli ultimi mesi le deflagrazioni delle bombe, gli incendi, il fragore degli spari hanno ricominciato a farsi sentire e fanno temere per una nuova ripresa. Fino a qualche giorno fa la guerra a mano armata della camorra si era combattuta nel silenzio assordante delle istituzioni sovracomunali e spesso anche della stampa. Le indagini dei carabinieri fino ad oggi si sono scontrate troppe volte con l’omertà, con la paura.

Comune commissariato

In questo contesto, nei giorni scorsi è caduto il governo locale del sindaco Giuseppe Montanile, eletto con il supporto di sette liste civiche alle Amministrative del 2018. Quattordici consiglieri comunali, sui sedici totali, si sono dimessi e ora l’amministrazione del Comune è passata nelle mani di un commissario prefettizio.

“Un atto irresponsabile, senza alcuna preventiva comunicazione ed in assenza totale di vicinanza personale e di rispetto istituzionale”, aveva commentato a caldo Montanile su Facebook, comunicando che le dimissioni erano arrivate mentre si trovava dal prefetto di Napoli per “ricevere informazioni circa le misure di protezione personale disposte per le minacce subite nel realizzare la lotta alla criminalità”.

Il sindaco è stato sottoposto alla vigilanza, una misura di protezione personale disposta per minacce che avrebbe ricevuto da soggetti con ruoli di spicco nella gestione dello spaccio di droga nel quartiere ex 219, dove insiste la più grande piazza di spaccio della provincia nord-orientale di Napoli. “Devi fare la morte del topo”, gli hanno ripetuto una donna e il fratello in un video pubblicato su Facebook in cui lanciano nei confronti del sindaco insulti e accuse pesanti. Montanile già nel 2019 era stato vittima di una sassaiola con alcuni assessori e consiglieri comunali mentre in quella zona svolgevano un sopralluogo. Dopo quell’episodio decise di convocare un consiglio comunale all’aperto vicino alla scuola del rione.

Dopo anni di scontri armati che hanno messo in pericolo la pubblica incolumità, è stata la crisi politica che si è aperta in città negli ultimi giorni a portare per la prima volta l’attenzione di alcuni parlamentari sulla situazione bruscianese. Sandro Ruotolo e Gennaro Migliore sono arrivati domenica a portare la loro solidarietà a Montanile, insieme all’ex senatore Tommaso Sodano. La sinistra scesa in campo per il sindaco di sinistra. Con loro anche l’associazione Libera, ritornata a Brusciano dopo 3 anni: l’ultima volta si era vista nel 2018, aveva partecipato a una manifestazione contro la camorra. I commercianti, gli imprenditori, i cittadini in questi anni sono stati soli. Quando prendevano coraggio, un supporto lo trovavano nei carabinieri che lavorano sul territorio.

L’indifferenza sulla faida di camorra

Fino alla caduta nei giorni scorsi dell’amministrazione Montanile, le sparatorie in pieno giorno, in mezzo alla folla, all’uscita dei bambini dalla scuola passavano nel silenzio degli organi sovracomunali e anche di molti politici e associazioni locali. Anche quando delle persone hanno rischiato per errore di perdere la vita. In un agguato avvenuto nel 2017 un anziano rimase ferito in strada mentre sbrigava faccende personali. Nel 2018 un bambino fu ferito di striscio da un proiettile mentre si trovava sotto casa. Nel 2019 almeno 15 colpi di arma da fuoco furono esplosi in un conflitto a fuoco davanti ai bambini che giocavano. Il mese successivo un ambulante che vendeva lumini fu ucciso all’esterno del cimitero.

Non si contano i feriti, i bossoli rimasti sull’asfalto, le segnalazioni di “stese”. Nonostante il rumore continuo delle pistolettate, il sangue sull’asfalto, Brusciano era stata un po’ abbandonata con la sua sanguinaria faida. I commercianti vessati dagli estorsori, gli imprenditori, ma anche qualche privato minacciato mentre ristrutturava in proprio l’abitazione. Molti non hanno denunciato, per paura di ritorsioni. Le minacce a don Salvatore Purcaro, sacerdote di Brusciano, e alla giornalista Monica Cito, pure hanno raccolto solo l’indifferenza generale.

Il silenzio dell’ex sindaco sul processo di camorra

Sono rimaste in un cassetto le richieste avanzate dall’associazione Mithril Art di dare con un nome un’identità al quartiere della ex-219 da anni oppresso dal traffico di sostanze stupefacenti, e anche quelle di quattro cittadini che hanno chiesto all’allora sindaco Montanile di costituirsi parte civile nel processo contro quattro soggetti da lui difesi in qualità di avvocato fino a pochi giorni prima dell’inizio del processo di camorra. La petizione fu molto discussa sui social e nei palazzi, ma, nonostante il trambusto che generò, non riuscì ad ottenere più di quattro adesioni.

Nell’avviso di rinvio a giudizio del 5 marzo 2019 Montanile risultava (mentre era sindaco di Brusciano) difensore di fiducia di tre dei quattro imputati, tra i quali c’era Tommaso Rega, 56 anni, ritenuto boss dell’omonimo clan storicamente radicato a Brusciano, il clan che secondo quanto hanno appurato le indagini giudiziarie era entrato in contrasto con il gruppo che all’epoca veniva definito informalmente da alcuni investigatori “degli scissionisti di Brusciano”, perché nasceva da una scissione interna alla storica cosca malavitosa dei Rega.

Montanile ha rinunciato alla difesa prima dell’inizio del processo, terminato con la condanna degli imputati in primo grado. Ma fino ad oggi non ha mai spiegato apertamente, ai cittadini che glielo avevano chiesto con una raccolta firme protocollata al municipio, perché il Comune non avesse preso posizione rispetto a quel processo di camorra. Sollecitato da una dei firmatari, anche il consigliere comunale del Pd (all’apposizione), Antonio Castaldo, chiese che il Comune di Brusciano si costituisse parte civile nel processo, ma anche lui è rimasto senza risposte.

Ai componenti del suo entourage che in quei giorni chiedevano chiarimenti sulla questione, Montanile rispondeva che il processo riguardava fatti che non erano avvenuti sul territorio. Che è in sostanza ciò che avrebbe riferito in questi giorni anche a Libera, che lo ha riportato in un’intervista al Mattino: “Il procedimento coinvolge un comune vicino”. Gli atti, però, raccontano di fatti che hanno interessato anche il comune di Brusciano, di reati che sono imputati a soggetti di Brusciano, uno dei quali è considerato il boss della cosca da decenni radicata sul territorio.

Sulla faccenda, Montanile si è soffermato per la prima volta pubblicamente in una lettera pubblicata ieri su un blog che porta il suo nome, con cui attacca la giornalista Monica Cito destinataria negli ultimi anni di minacce che hanno fatto scattare anche nei suoi confronti per un periodo la vigilanza come misura di protezione personale : “L’Ente – ha scritto l’ex sindaco – per costituirsi parte civile in un processo avrebbe dovuto ricevere una notifica del decreto di udienza da parte del Tribunale incaricato, notifica mai pervenuta alla Casa Municipale”. Ma Montanile, come avvocato, sapeva del rinvio a giudizio.

La crisi politica

Monica Cito, come i consiglieri dimissionari e una parte del popolo bruscianese sono amareggiati per la strumentalizzazione che si sta facendo della lotta alla camorra, nel tentativo di collegare l’impegno sbandierato contro la criminalità e le minacce (per le quali tutti hanno espresso la propria solidarietà a Montanile) alla fine dell’amministrazione comunale.

Montanile la definisce una “brutta coincidenza” quella tra le minacce ricevute e le dimissioni dei consiglieri comunali, una coincidenza su cui non ha mancato di esprimere sospetti anche il senatore Sandro Ruotolo. “Con uno strano tempismo sei consiglieri della sua stessa maggioranza, insieme ad otto dell’opposizione firmano le dimissioni davanti al notaio decretando la caduta dell’amministrazione comunale in carica da due anni”, ha affermato Ruotolo sui social nell’annunciare la nascita del manifesto-appello per Brusciano libera dalle camorre.

I consiglieri che hanno sfiduciato Montanile rigettano le illazioni e circoscrivono la decisione di dimettersi al campo puramente politico, motivando la sfiducia con la volontà di porre fine a una gestione autoritaria e accentratrice con progetti fermi e sotto la quale non sono mai state costituite commissioni consiliari permanenti.

Il lavoro degli inquirenti

Intanto ieri i carabinieri hanno eseguito nuovi arresti. Provvedimenti restrittivi sono stati disposti su richiesta della procura di Nola nei confronti di tre persone accusate di un attentato dinamitardo risalente al 13 dicembre del 2020, quando un ordigno posizionato all’interno di un wc in ceramica esplose in via Rossellini, davanti ad alcune palazzine del rione 219, danneggiando tre auto parcheggiate. La bomba era stata trasportata sul luogo della deflagrazione con un’auto la cui targa era stata precedentemente alterata con uno spray. Per detenzione e porto di materiale esplosivo ed arma comune da sparo, danneggiamento e incendio, sono stati arrestati Savio Russo, Mario D’Amore e Luca Di Leva.

Russo era in stato di detenzione dal 24 febbraio scorso quando fu catturato con Mario Solina per l’aggressione avvenuta il 16 gennaio a un 21enne sequestrato e picchiato in uno scantinato. Il movente di quelle violenze sarebbe da ricercare in affari criminali su cui indagano i carabinieri. Il successivo 26 febbraio ancora Russo era stato raggiunto da una nuova ordinanza cautelare perché gravemente indiziato per le minacce e le lesioni a un 45enne che il 12 novembre del 2020 era stato ferito con colpi di pistola calibro 7,65.

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