In “Anna karenina” Lev Tolstoj riesce a cogliere il sottile rapporto che collega, in maniera essenziale o accidentale, due o più persone. Attraverso il romanzo pubblicato nel 1877, l’autore è stato in grado di presentare dei personaggi che, posti di fronte ad un atroce dilemma, condizionati l’un l’altro, finiscono per fare delle scelte inconcepibili (come direbbe Levin, uno dei protagonisti dell’opera).

Al lettore, sin dalle primissime righe del romanzo, è mostrata una situazione di per sé problematica, gli viene proposta una tacita valutazione.  Nel capitolo introduttivo si racconta il tradimento di Stepan Arkad’ic Oblonskij, “uomo che non sceglieva né le tendenze né le opinioni”, sposato con Dar’ja, “una donna esaurita, invecchiata, non più bella e per nulla affatto interessante, buon madre di famiglia soltanto”. I personaggi tentano invano di dominare sé stessi cercando di adottare sagge decisioni, tuttavia ogni sforzo risulterà impossibile, poiché non trovano il modo di disabituarsi a pensare e ad agire come hanno sempre fatto: Stepan Arkad’ic “non riesce ad ingannare sé stesso di essere pentito di ciò che ha fatto” e Dolly “nonostante desidera punire Stepan, non riesce a preparare la roba sua e dei bambini per trasportarla della madre”.

Proprio come è accaduto nel romanzo precedente, “Guerra e Pace”, si ha l’impressione che l’autore voglia mettere sin da subito le cose in chiaro: la fatalità perseguita inesorabilmente gli uomini. Non a caso, la sorella di Stepan Arkad’ic,  Anna Arkad’evna (moglie di Aleksej aleksandrovic Karenin, “un uomo che occupa uno dei più alti gradi nel ministero”) è chiamata per appianare il dissidio tra i due coniugi; e proprio a quel punto incomincia a definirsi tutto il racconto ed un groviglio di passioni e d’interessi sorgono nel corso della storia.

Prima di analizzare il personaggio della protagonista indiscussa, Anna, bisogna però soffermarsi e dire che leggendo il romanzo, l’autore ha rappresentato egregiamente “la cerchia mondana di Pietroburgo”: un luogo in cui tutti si conoscono e scambiano visite, ma soprattutto un luogo in cui tutti riescono a macchinare intrighi. Lo stesso Stepan Arkad’ic,  all’epoca studente pigro e svagato, si scopre che ha ottenuto “un posto ragguardevole e ben retribuito” proprio grazie alla sua relazione stretta con Aleksej Aleksandrovic Karenin.

Per di più, restando sul tema, bisogna sottolineare che quando inizialmente Stepan Arkad’ic incontra Levin, “compagno e amico di prima giovinezza”, e gli dice che “lo scopo dell’evoluzione sta nel fare di tutto un godimento”, non è lui a parlare ma un intero gruppo d’individui che all’interno della società manifestano un pensiero comune.

La lettura del romanzo “Anna Karenina”, quindi, è necessaria e fondamentale se si vogliono prendere in considerazione le vicende umane, anche perché l’autore riconduce la questione al punto di partenza, ai suoi termini essenziali. Tolstoj ci mostra che dalla famiglia ha origine tutto e laddove non vi è un amore autentico, ciò che più conterà saranno solo la ricchezza, il potere ed il prestigio.

Così, come accade alla protagoniste secondarie del racconto, quando dei genitori deve maritar le figlie è ovvio che “essi si devono aspettare il miglior partito”. A partire dall’educazione severa, si può notare che la donna “è obbligata a fare quello che da lei si pretende, cioè ballare, rispondere alle domande, parlare, sorridere persino”. Pagina dopo pagina, il sistema educativo descritto, è un sistema che annichilisce, tanto che la stessa Anna Karenina, arrivata in casa Oblonskij per appianare il dissidio tra i due coniugi, parlando, dice segretamente alla giovane Kitty che “per lei ormai non ci sono balli in cui ci si diverte”.

Dunque, la confessione di una donna che nonostante la bellezza, l’eleganza e l’espressione piacente, in fin dei conti è una madre con “una vivacità contenuta che le erra sul viso e balena tra gli occhi lucenti”; una moglie che, di ritorno da casa Oblonkij, incontrando il marito, guardandolo, “prova una sensazione sgradevole, che prima non notava”; una donna che “inizia a percepire con chiarezza la natura dei suoi sentimenti” solo dopo aver incontrato accidentalmente il rivale in amore di Levin, Vronskij, che in precedenza aveva adescato Kitty senza avere alcuna intenzione di sposarla.

Di primo acchito, il lettore potrebbe definire la Karenina come una donna infelice ed incapace di amare, poiché – riportando le sue sue parole – “ l’amore è una parola che non le piace anche perché significa qualcosa di troppo grande per lei”. Ma limitarsi a dire questo sarebbe riduttivo. Forse sarebbe più corretto affermare il contrario, ossia dire che Anna è una creatura che non è mai stata amata, o per lo meno, non è mai stata amata dal marito Aleksej Aleksandrovic, un uomo freddo, distaccato e razionale, “non si era mai rappresentato con chiarezza la vita intima di lei, i suoi pensieri, i suoi desideri” prima che potesse subentrare l’ipotesi di un tradimento da parte della moglie. Sin dal principio ha esercitato il diritto di proprietà su di lei, come se Anna fosse “una cosa tra le cose”.

Quando egli si abbandona in una lunga riflessione e dice a sé stesso “la questione dei suoi sentimenti, di quello che avviene e può avvenire nell’anima sua non è affar mio”, in realtà egli esprime un pensiero comune che abbracciano tutti gli uomini (e talvolta anche le donne) che appartengono ad una società che sminuisce il valore intrinseco della donna e non lascia spazio a grandi interrogativi. Una società, dunque, che prima nega all’essere la possibilità di essere, dopodiché colpevolizza colei che nutre il desiderio impossibile, pauroso e fascinoso di felicità.

A questo punto, però, è da tener conto del punto di vista preponderante dell’autore. Come è accaduto anche all’inizio del racconto, nel momento in cui Anna decide di troncare definitivamente la relazione con il marito per fuggire con Vronskij, Tolstoj fa continui rimandi alle vicende bibliche. Ad un certo punto, addentrandosi sempre di più nel racconto quasi sembra di ricordare la Pericope dell’adultera, vicenda che si ritrova in Giovanni 8, 1 – 11. All’interno della pericope, difatti, vi è la storia di una donna che colta in flagrante adulterio viene portata dinanzi a Gesù affinché possa esprimere una sua sentenza.

In entrambi i racconti vi è la figura di una “misera” a cui viene accostata la figura di un personaggio “misericordioso”: Anna, la colpevole, la moglie che ha abbandonato la famiglia per fuggire con Vronskij,  è accostata alla figura di Levin, un giovane, serio aristocratico che “sa con certezza che il raggiungimento del bene comune è possibile soltanto con un severo adempimento di quella legge di bontà che si rivela a ogni uomo”. Se da una parte vi è Anna, una donna oppressa dal senso di colpa e giudicata malamente dall’opinione pubblica; dall’altra vi è Levin, un uomo conflittuale e talvolta disprezzato dalla società pietroburghese per il suo stile di vita semplice e sobrio, in campagna. Due personaggi simili, ma differenti, in quanto alla fine del romanzo, quando il conflitto va verso una risoluzione, il primo, caduto in perdizione, sceglie il suicidio; mentre il secondo, nonostante le avversità, trovando la fede sceglie la vita.

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